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I duetti fra Deneuve e Binoche sono "Le verità" più importanti

Il film del giapponese Kore'e si regge sulle due star che non hanno bisogno di recitare. E alla fine 5 minuti di applausi

I duetti fra Deneuve e Binoche sono "Le verità" più importanti

«La verità non appassiona. Sono un'attrice, non posso dire la verità», afferma Catherine Deneuve nel film Le verità (titolo originale La vérité) in cui interpreta, in un gioco a incastri, una grande attrice francese che sta girando un nuovo film e ha appena scritto un memoir addirittura «pubblicato in 100mila copie». Che però un attimo dopo scopriamo essere «solo» 50mila dalla bocca del suo maggiordomo Luc, interpretato dal grandissimo attore rohmeriano Alain Libolt. D'altro canto, in un'opera in cui nessuno sembra dire la verità, «le bugie si possono trasformare in magie» teorizza il regista giapponese Hirokazu Kore'eda in trasferta per la prima volta in Europa dove ha girato il film di apertura, e in concorso, di questa Mostra del cinema di Venezia numero 76 dove alla fine strappa più di 5 minuti di applausi. Trasportando a Parigi le atmosfere e le tematiche care al suo cinema che, anche grazie alla Palma d'Oro a Cannes lo scorso anno con Un affare di famiglia, lo hanno reso uno dei più apprezzati registi internazionali.

In Le verità (dal 3 ottobre nelle sale italiane), come un camaleonte, mette in scena una tipica commedia francese in cui la star del cinema d'Oltralpe Fabien (Catherine Deneuve) accoglie nella sua lussuosa casa parigina, con uno splendido giardino alberato i cui colori cambiano quasi in maniera impercettibile durante il film, la figlia Lumir (Juliette Binoche) che fa la sceneggiatrice ed è tornata da New York con lo spaesato marito statunitense, attore in eterna ricerca di un ruolo da protagonista (Ethan Hawke), e la figlioletta (Clémentine Grenier).

Assistere ai battibecchi tra Catherine Deneuve e Juliette Binoche, per la prima volta insieme in un film è qualcosa di meraviglioso, anche perché non si sa mai bene dove finisca il film e dove inizino le biografie. Come quando la bizzosa star, interpretata da «Oui, je suis Catherine Deneuve», dice di non essersi mai scusata con un uomo o quando fa una smorfia di disappunto a sentire il nome di Brigitte Bardot pronunciato da chi fa un curioso elenco di grandi attrici con le stesse iniziali del nome e del cognome (Michèle Morgan, Simone Signoret, Greta Garbo...) oppure ancora dice di non sopportare i film dei giovani autori che muovono la macchina da presa come se stessero sulle montagne russe - «ma costa tanto un cavalletto?» - è difficile scindere tra personaggio e l'idea che si ha della Deneuve. «Io inserisco sempre molto di me stessa e del mio essere donna nei film che interpreto. Con il regista ci siamo incontrati varie volte prima delle riprese, a Parigi, a Cannes, in Giappone, e anche grazie a questi momenti abbiamo lavorato molto sulla scrittura dei personaggi», dice la grande attrice francese che in effetti gioca molto sul crinale tra realtà e finzione. Ad esempio nel film viene spesso citata un'attrice, Sarah, amica e rivale, morta anni prima, della quale Fabien conserva un vestito in casa. A qualcuno non è sfuggito il possibile riferimento alla sorella di Catherine Deneuve, l'attrice di talento Françoise Dorléac che ha recitato in La calda amante di François Truffaut e in Cul-de-sac di Roman Polanski, prima di morire a soli 25 anni in un terribile incidente stradale nella sua auto incendiatasi.

Anche se tutta l'operazione alla fine si scopre essere merito quasi esclusivo di Juliette Binoche: «Avevo un sogno da tantissimo tempo, girare un film con Kore'eda. Da 14 anni aspettavo di incontrarlo, siamo stati insieme a Kyoto, un luogo speciale in cui abbiamo condiviso l'idea del film». Per poi aggiungere che «ero piccolissima quando mi innamorai di Catherine Deneuve, recitare ora con lei è stato il coronamento di un altro sogno, per me è stata una vera consacrazione, viva e preziosa». Tutto bene quel che finisce bene? Sì certo, anche se Catherine Deneuve ammette che non è stato semplicissimo lavorare sul set con il regista che parlava solo giapponese: «È stata un'esperienza molto originale ma anche complessa perché è stata una fatica enorme comunicare in una lingua diversa, avevamo un'interprete per parlare con Kore'eda.

Ma forse è stata una buona cosa perché alla fine ci siamo detti l'essenziale». La verità?

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