Cultura e Spettacoli

I Leoni di culto? Rischiamo di non vederli

da Venezia

Fuori dai circoli del cinema nessuno sa chi sia il regista vincitore del Leone d'Oro, lo svedese Roy Andersson, classe 1943, o quello che ha ottenuto il Gran premio della giuria, Joshua Oppenheimer. Va un pochino meglio per Andrej Konchalovskij, Leone d'argento per la regia, mentre si ritorna nel baratro dell'ignoranza per la regista iraniana Rakhshan Banietemad, migliore sceneggiatura, o per il turco Kaan Muydeci, premio speciale, che almeno ha la scusa di essere un esordiente. Certo la Mostra di Venezia, che ha la parola «arte» nel Dna, ha il compito di segnalare il meglio del cinema mondiale ma la cosa più sorprendente è che per ora nessuno di questi film ha una distribuzione, tranne The Look of Silence di Oppenheimer che I Wonder Pictures, con lungimiranza, aveva già acquistato dopo il successo del precedente The Act of Killing , sempre sulle epurazioni indonesiane sotto Suharto.

«Il nostro lavoro - spiega il direttore Alberto Barbera, accanto al presidente della Biennale Paolo Baratta il quale ha confermato i numeri di presenze e incassi, in linea con quelli della scorsa edizione - finisce con la selezione. Durante il festival curiamo e sosteniamo i nostri film ma dopo inizia il lavoro di altri, dei distributori».

Lavoro non facile, visto che il Leone d'Oro, ironico e curioso come il suo chilometrico titolo Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza veniva venduto prima del premio a 80mila euro. Ora avrà superato i 100mila. Altrettanti ne serviranno per i costi di distribuzione. Dal momento che un film di questo genere potrà incassare intorno ai 300mila, ecco che i margini di guadagno si fanno pericolosamente risicati. Tutto questo però Barbera lo sa: «Ma la Mostra non può in alcun modo intervenire in questa situazione. Il numero dei film distribuiti in Italia diminuisce così come la varietà e questo comporta dei rischi che prima, con un mercato più forte, potevano essere assorbiti meglio». Quasi inutile ricordargli che magari un premio al film americano Birdman con Michael Keaton e Edward Norton avrebbe intercettato anche un pubblico più vasto, perché il direttore della Mostra è perfettamente d'accordo: «Certo che ci avrebbe fatto comodo se avesse vinto un film hollywoodiano, anche per il rapporto con le major. Ma le giurie sono autonome e le loro dinamiche imprevedibili. Il verdetto ha una sua coerenza interna, frutto di scelte condivise per lo meno a maggioranza». Sappiamo infatti che il giurato Tim Roth ha fatto di tutto per premiare il film di Oppenheimer mentre il nostro Carlo Verdone, quando ha capito che Il giovane favoloso di Mario Martone e Anime nere di Francesco Munzi non avevano chance, ha puntato tutto su Hungry Hearts di Costanzo, contribuendo alle Coppe Volpi come migliori attori per Alba Rohrwacher e per il lanciatissimo Adam Driver che vedremo nel nuovo film di Scorsese e nelle rinate Guerre stellari .

«L'anno scorso - ricorda Barbera - eravamo qui a dire che Sacro Gra di Rosi era un film che non andava da nessuna parte. Poi ha incassato 1,3 milioni, oltre a essere venduto in 32 Paesi.

Se una Mostra del cinema come quella di Venezia non sostiene un film così o come quello di Andersson, noi che ci stiamo a fare?».

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