Cultura e Spettacoli

"I reality sono morti? No, solo in attesa di una nuova spinta"

Per i direttori di Rai, Mediaset e Sky il genere avrà ancora da dire: "Bisogna però rispecchiare i cambiamenti di pubblico e società"

"I reality sono morti? No, solo in attesa di una nuova spinta"

Una splendida annata senza reality show: dall'autunno scorso fino alla prossima estate. Anzi, l'astinenza si prolungherà fino a gennaio 2014, quando rispunterà su Canale 5 il Grande Fratello, la Ferrari della formula in questione. Non accadeva dal settembre 2000, battesimo del Gieffe e vera «entrée» nel nuovo millennio tv con Daria Bignardi in conduzione, Giorgio Gori al timone dell'ammiraglia Mediaset e Fabrizio Rondolino, ex Lothar dalemiano, consulente del progetto. Anche noi telespettatori comuni abbiamo visto cose...
Godiamoci la vacanza, però. Alzi la mano chi rimpiange gli esodati della Casa che invadono i divani di Barbara D'Urso o di Mara Venier. O i naufraghi dell'Isola dei Famosi, spiaggiati sul bagnasciuga dell'infotainment pomeridiano. E a chi mancano i sociologi che citano ogni due per tre Andy Warhol? Questa assenza non è ecologia della mente oltre che del video? Qui però si tratta di capire se la vacanza dei reality è una parentesi senza significati particolari oppure no. Perché poi, in contemporanea, si stanno moltiplicando i talent show in tutte le versioni. Quella techno-pop-social di X Factor, quella mezzogiorno di fuoco di MasterChef, quella stile college di Amici o nazionalpop di Italia's Got Talent e infine quella, elegante-misteriosa attesa su Raidue di The Voice of Italy.
«Per me è un fatto contingente», premette Giancarlo Leone da inizio anno al vertice di Raiuno, proveniente dalla direzione Intrattenimento. «Credo che tutto dipenda da fattori strutturali. È vero, i reality tradizionali hanno un po' saturato il pubblico. Però c'è la formula emergente di Pechino Express: niente studio, gossip e opinionisti che non sempre erano un valore aggiunto». Ma un Pechino Express fa tendenza? Torniamo alla vacanza dei reality classici. «A mio avviso le ragioni principali sono di tipo economico. Costi strutturali difficili da giustificare in epoca di spending review. Poi sì, certi format contenevano elementi borderline per il pubblico generalista». In tutta questa faccenda però Leone non vede motivazioni extra-televisive. «Non credo che la sobrietà confligga con questi programmi. Anzi, i reality potrebbero avere una funzione di evasione che solitamente si rafforza nei momenti di recessione. Non vedo l'equazione crisi sociale tv più morigerata. Semmai bisogna constatare un cambiamento di linguaggio. La crescita dei talent va in questa direzione e instaura un circuito più virtuoso. Ho fortemente voluto The Voice of Italy che partirà in primavera su Raidue...».
Anche per Alessandro Salem è presto per mettere la pietra tombale sul genere che ha sbancato nell'ultimo decennio. «Non sono tra coloro che pensano che il reality classico sia morto», premette il direttore generale dei contenuti Mediaset. «Non credo a un rifiuto del pubblico per il genere. Piuttosto, occorre declinarlo in modo più coinvolgente per i telespettatori. Noi resteremo per un anno senza Grande Fratello, ma lo riprenderemo a fine 2013 con una robusta preparazione sul web, il media più empatico verso questo genere. In Rete il pubblico potrà partecipare, suggerire persone da far entrare nella Casa, affezionarsi alle storie. Sarà una sorta di warm up del programma». Dunque, per il dirigente che ha aiutato l'avvento dell'one man show in Mediaset, prima quelli di Checco Zalone poi Rock Economy di Celentano, il reality è vivo e lotta insieme a noi. «Si tratta di sintonizzarlo sullo spirito del tempo. Attraverso uno schema che si snoda con il lavoro di casting, la costruzione delle storie e lo sviluppo spontaneo di una sorta di soap. È vero, crescono i talent. E faccio notare che il primo in Italia è stato Amici di Maria De Filippi. Ma anche i reality, sviluppandosi attraverso una convivenza forzata e senza contatti con l'esterno, hanno dinamiche e equilibri profondi. Fuori la società sta cambiando. Soprattutto attraverso la scelta dei protagonisti, i reality possono rispecchiare questo cambiamento».
Più scettico sulle sorti progressive del genere è Andrea Scrosati, vice presidente esecutivo cinema e intrattenimento di Sky, per il quale il cambiamento in atto si riflette sul piccolo schermo. «La buona tv è quella che sa rispecchiare e interpretare questi cambiamenti. Fino a qualche tempo fa era la telecamera a creare la realtà accendendosi nella Casa o sull'Isola. Ora riprende e racconta, pur spettacolarizzandole, realtà pre-esistenti. È il caso dei talent show, il genere emergente della tv attuale, nei quali conta la narrazione, ma ancor prima conta l'esprimersi del talento. Ed è anche il caso dei docu-reality che stanno facendo la fortuna di tanti canali tematici. Cito Apocalittici di National Geographic». Per Scrosati, forse il più social tra i televisivi in circolazione, artefice di X Factor e MasterChef, «oggi la nostra società sta smarrendo il valore straordinario del sogno. Per resistere, questo sogno dev'essere ancorato a elementi di concretezza. Credo che una parte delle giovani generazioni cominci a capire la differenza tra il mito del posto fisso e la necessità di passare attraverso percorsi di selezione inevitabili. I talent show rappresentano questo passaggio e il fatto che sfondino sul web ne è la conferma».

Lo dimostra anche l'ottimo risultato di ascolti di Italia'sGot talent ripartito sabato su Canale 5: 7 milioni 253 mila spettatori (30,93% di share).

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