Cultura e Spettacoli

I tuoi versi mi hanno sconvolto

Milano, 5 maggio '63

C aro Mario,

ricorderai che volevo scriverti più a lungo per le poesie. Non ce l'ho fatta, non ce la faccio nemmeno ora. Ripeto che ne sono stato e ne sono ammirato, ma non è solo questo: confesso di esserne rimasto sconvolto. Aggiungo che sono entrato in crisi non benefica, in quel momento; forse benefica a distanza non perché sentivo che avevo a che fare con uno più «bravo» di me, ma perché inopinatamente quell'uno aveva già fatto, dimostrava di aver fatto organicamente qualcosa di molto simile a quello che io credevo, per me, come naturale sbocco o conclusione dei miei tentativi. Pensa a come eravamo «diversi», pur se affettivamente vicini nel '40, ancora dopo il '45 e pensa ad ora. Se non addirittura sullo stesso terreno, siamo su terreni straordinariamente simili. Dicevo una volta sbrigativamente a qualcuno che pensavo a te come a un saggio e a me come a un peccatore almeno nel rapporto tra i due. Non vederci né una volontaria autoumiliazione né una presunzione alla rovescia. Era un modo imperfetto di stabilire un confronto. Quella imperfetta distinzione esiste ancora, nonostante le cose che ci avvicinano: in essa sento la costante presenza in te di un punto fisso, diciamo di una «fede» (per quanto saltuariamente oscurata, messa in forse, costretta a disperare di sé); e l'assenza di questa in me, totale o quasi, mal compensata dall'accendersi intermittente di qualcosa che le assomiglia, simulacro di essa o surrogato che sia, da un'occasione all'altra da una cosa scritta all'altra...

Questo era un po' il senso di quanto volevo scriverti, ma allora con un discorso più circostanziato e magari con le tue poesie davanti agli occhi. Sappi comunque che, sebbene anche dolorosamente, mi sono rimasti nella testa certi accenti per giorni e giorni mi hanno accompagnato e un po' perso quei testi. Spero di vederti presto. Ti abbraccio.

Vittorio

Commenti