Cultura e Spettacoli

"Io e mia moglie Emily ci siamo inventati un altro A Quiet Place"

Il regista e la star Blunt firmano insieme il secondo capitolo di un successo mondiale

"Io e mia moglie Emily ci siamo inventati un altro A Quiet Place"

Los Angeles. La paura di essere genitori. L'ansia che solo un figlio, dal momento che nasce, riesce a far provare a chi l'ha messo al mondo. È questo il ragionamento dietro al successo, tre anni fa di A Quiet Place, il film scritto diretto e interpretato da John Krasinski e dalla moglie Emily Blunt. Fu uno sei successi cinematografici più importanti del 2018, riuscì ad incassare 340 milioni di dollari in tutto il mondo e fu acclamato dalla critica. L'idea era semplice: madre, padre e figli dovevano cercare di sopravvivere alla devastazione causata da un'invasione di alieni ciechi, guidati nella loro sete di sangue solo dai suoni. Una vita in silenzio.

Normale che Paramount non volesse lasciarsi sfuggire l'occasione per realizzare un sequel. Ma come? Tornarci sopra non era un'operazione facile, visto il finale, potente e definitivo, del primo film.

Krasinski, in un primo tempo decise di non esserne coinvolto. «Quando inizialmente mi parlarono di un sequel dissi: andate con Dio, trovatevi un altro regista e un altro autore, io non voglio averci niente a che fare. Il primo film, per quanto possa sembrare assurdo, era per me una lettera d'amore ai figli, un racconto delle paure che ogni genitore ha, di non riuscire a mantenere la promessa di proteggerli. Per questo, per me, quel racconto era finito».

Alla fine però ha cambiato idea, di questo secondo episodio, al cinema da giovedì 24 giugno, Krasinski è regista, sceneggiatore e anche interprete, nonostante il suo personaggio nel primo film abbia sacrificato la vita per salvare i figli. «Alla Paramount sono stati intelligenti abbastanza da pensare che un sequel qualunque non sarebbe bastato, che serviva mantenere fede alla qualità e alla storia del primo film. Per questo mi chiesero di aiutarli, anche se mi chiamavo fuori mi chiesero di proporre qualche spunto».

E poi cosa successe?

«Cominciai a pensarci. In realtà fu mia moglie a spiegarmi dove avremmo dovuto andare».

Dove?

«Non è un sequel, mi disse, è una sorta di esplorazione di cosa significa vivere in certe circostanze. Iniziai a lavorare a quella idea e a un certo punto decisi di accantonare le remore, buttare giù un copione e mettermi di nuovo alla regia».

Ma non nel cast.

«Ci sarò, ma molto meno. Visto come è finito il primo film, solo in qualche flashback».

Infatti Mr. Abbott muore alla fine del primo film.

«Già. Il primo film si basava sull'idea che ogni genitore fa una promessa al figlio, che se starà con lui sarà salvo. Ma prima o poi arriva il momento in cui quella promessa viene rotta e questo film descrive quel dopo. Ora Evelyn Abbott è una madre single, che si deve prendere cura dei suoi bambini, oltre a Marcus e Regan (interpretati da Millicent Simmonds e Noah Jupe, ndr), c'è un neonato da poco partorito. Evelyn cerca di sopravvivere nello scantinato dove l'avevamo lasciata alla fine del primo film, ma scopre che ci sono altri esseri umani sopravvissuti allo sterminio e il suo mondo cambia in un istante».

Il cast dunque si arricchisce di altri personaggi, interpretati da Cillian Murphy e Djimon Hounsou. Da che parte staranno?

«Non vorrei svelare troppo. Diciamo solo che la famiglia Abbott capirà presto che le creature che cacciano gli uomini attraverso i loro suoni non sono l'unica minaccia sul loro cammino».

Se il primo era un film girato in uno spazio ristretto questo è più un road movie.

«Sì, lo scenario cambia ma avevo bene in mente che una donna, scalza, con tre figli al seguito di cui uno a tracolla, non avrebbe potuto fare tanta strada. Mi sono limitato a cosa sarebbe stato possibile fare ma ho voluto farli uscire dal guscio perché spesso mi sono sentito chiedere da chi ha visto il primo film che ne era stato del resto dell'umanità, l'unica persona che si vede nel primo, a parte la famiglia Abbott, è un uomo che per il terrore decide di suicidarsi, era solo».

In molti hanno paragonato il primo film con Lo squalo di Spielberg, per questa minaccia sempre presente ma praticamente mai visibile.

«Questa volta il nostro mostro si vedrà di più, senza esagerare però. È stato divertente disegnarlo al computer, ho cercato di trattarlo come qualsiasi altro personaggio del film».

Come è diventato regista?

«Per caso. Quando ho iniziato la mia carriera di attore, in tv, con The Office non pensavo affatto che un giorno avrei diretto un film».

Come mai?

«Perché è difficile. Ho troppo rispetto per i registi per anche solo pensare all'idea di improvvisarmi regista».

Complicato dirigere la propria moglie?

«No, ero a mio agio. La nostra relazione è basata sul rispetto e sull'onestà e siamo stati sempre sinceri quando si trattava di giudicare il lavoro l'uno dell'altra e lei è la migliore collaboratrice che abbia mai avuto. Lei capisce qualsiasi ambito del lavoro su un set, conosce le difficoltà, i problemi, gli aspetti tecnici, quelli finanziari e quelli psicologici.

Per questo è una grande attrice».

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