Cultura e Spettacoli

Jünger: «Ho visto la caduta del vecchio mondo e l'emergere di una vita elementare»

Ecco la lettera di elogio che il tedesco mandò all'autrice dopo aver letto il libro

di Ernst Jünger

Cara Banine,

vengo a sapere dal nostro amico François Lagarde che sta preparando la riedizione del suo I miei giorni nel Caucaso. È una notizia che mi rallegra perché ricordo il piacere che ho provato alla prima lettura di questo libro, poco dopo la Seconda guerra mondiale. Ho cercato nella nostra corrispondenza, che copre una quarantina di anni, la copia della lettera che le avevo scritto il 17 luglio 1946. Forse se la ricorda ancora. Eccola.

«Ho letto il suo I miei giorni nel Caucaso in notti così calde che si poteva benissimo avere l'illusione di credersi sulle rive del Mar Caspio. Nel suo libro ho notato due grandi temi del nostro tempo: da una parte la caduta del vecchio mondo, dei legami, dei vecchi rapporti; e, dall'altra, l'emergere di una vita elementare, di una nuova libertà, divenute possibili e probabilmente accelerate dalla prossimità delle rovine. L'angolo d'Europa o meglio dell'Asia che costituisce il teatro delle sue descrizioni apporta nuove luci e la tavolozza di colori di un universo straniero. Avevo, in aggiunta, il piacere di incontrare una volta di più l'autrice in persona, immaginandola sul suo divano, come in rue Lauriston, mentre si diletta di un moka molto forte e di dolciumi, sempre all'avida ricerca delle verità sugli uomini e sulle cose di questo mondo. E tocca anche molti tabù che preferisco tenere nell'ombra. Mi ha fatto riflettere anche la sua ironia, come pure le condizioni sociali e personali da cui ha tratto origine.

Dopo che il suo libro mi ebbe dato il piacere e la gioia dei ricordi, l'ho sistemato nella mia biblioteca: quando lo vedrò, penserò ancora spesso a lei. Mi farebbe piacere ricevere una sua immagine da inserire tra le sue pagine».

Non essere stato dimenticato dai miei amici francesi in quei giorni passati mi aveva particolarmente commosso. Ho sfogliato or ora questo I miei giorni nel Caucaso ormai ingiallito dal tempo, con la sua dedica, e ritrovo confermata la mia prima impressione. Sarà una gioia ancora maggiore vedere presto questo libro nella sua nuova presentazione.

Non resisto al desiderio di aggiungere ai miei auguri di successo al suo libro alcune considerazioni personali; ma le formulerò in poche parole. Dice una nota citazione: «Le pallottole e i libri hanno il loro destino». Ma anche le città hanno il loro destino e lo determinano a loro volta: la cosa è vera in particolare per Roma e Parigi. L'ho sperimentato di persona, come innumerevoli altri.

La nostra conoscenza aveva avuto inizio con Nami, il suo primo romanzo, che mi aveva mandato dopo aver letto i miei libri: Nami si svolge nel Caucaso, il luogo dove è nata.

Così due autori entravano in normale relazione. Poco normali erano però il luogo e l'epoca: Parigi durante la Seconda guerra mondiale.

Ebbene, poco dopo aver ricevuto il suo romanzo fui mandato in missione proprio nel Caucaso: curiosa coincidenza.

Al di là del pretesto ufficiale della mia missione, si nascondeva un altro obbligo: quello di determinare lo stato psicologico dei generali al comando. Ben presto però mi accorsi che avevano ben altre preoccupazioni che quelle di natura politica. E feci ritorno a Parigi.

Sul mio soggiorno in questa città si è formata una leggenda, secondo la quale vi conducevo una vita simile a quella degli ufficiali di Annibale accusati di «essersi addormentati nelle delizie di Capua». In realtà il pericolo vi era più marcato che nel corso della Prima guerra mondiale e, soprattutto, più sinistro per non parlare dei conflitti interiori. Infatti non si trattava più di una guerra nazionale, ma di una guerra civile su scala mondiale. Non era più la situazione del viaggiatore sentimentale di Sterne, che a Calais viene incidentalmente a sapere che il suo re è in guerra con quello di Francia; e neanche la situazione delle guerre del secolo scorso oppure quella della battaglia di Verdun.

Per questo penso con tanta maggior gratitudine agli incontri che ebbi la fortuna di fare a Parigi in quegli anni difficili: dovevano fondarsi umanamente, spiritualmente, moralmente, su una base particolarmente solida.

Lo testimonia il fatto che danno i loro frutti ancora oggi.

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