Cultura e Spettacoli

Trovesi: "Tra jazz e folklore ora vi suono l'elogio della follia"

L'artista 70enne rielabora un'opera di George Russell e racconta i suoi progetti

Con le sue composizioni, le sue ricerche e la voce strumentale del suo sassofono e del suo clarinetto, Gianluigi Trovesi, a 70 anni, è uno dei senatori del cosidetto «jazz europeo», rielaborando tradizione e innovazioni degli anni '70 e '80 e filtrandole con le radici mediterranee. Da musicista di balera a membro della big band della Rai, da pilastro della band di Giorgio Gaslini alle molteplici esperienze internazionali, dagli studi al Conservatorio all'improvvisazione, dall'ottetto (e il nonetto) al duo con Gianni Coscia, Trovesi ha sempre cercato di fondere nel jazz suoni colti e folklorici, accademia e improvvisazione. In questi giorni ha preparato - insieme all'Orobico Quartetto - un'opera molto suggestiva dal titolo Mediterranea-mente. La Follia secon do Trovesi, una produzione del Roccella Jazz Festival per celebrare i 25 anni della composizione La Folìa. The Roccella Variations, eseguita proprio a Roccella nel 1989 dal grande George Russell . L'opera avrebbe dovuto andare in scena al Roccella Jazz Festival il 21 agosto ma, per motivi tecnici (leggi mancanza dell'arrivo dei fondi necessari) la parte di manifestazione che vedeva impegnato Trovesi è slittata a quest'autunno, e intanto lui continua a lavorare su diversi fronti.

L'opera La Follia dev'essere stata molto impegnativa...

«La follia è una danza apotropaica che ha origini antichissime nell'America del Sud ma che un tempo era molto diffusa anche in Europa. È un tema che mi accompagna da trent'anni, dal mio secondo album in trio. Così ho costruito un percorso intorno al tema della follia inserendo all'interno alcuni frammenti di George Russell. Presto ne faremo anche un disco».

Quanto è importante la matrice folklorica e popolare nella sua opera?

«È fondamentale, dai canti dei contadini e degli operai che ascoltavo nella bergamasca alla voglia di riscoprire i ritmi tipici del Mediterraneo in senso lato, intendendo la musica che viene dal Medio Oriente a quella africana a quella dell'Albania».

Non tutti riescono a fondere queste radici col jazz.

«Ci vuole sensibilità, è un gioco ad incastri che nasce spontaneamente e dipende dal percorso artistico che ciascuno di noi fa. Io ho preso il diploma in clarinetto, poi in 8 anni nell'Orchestra della Rai ho suonato di tutto. Ho cercato di far convivere formazione popolare, classica e jazzistica in un unicum. Il mio primo disco, Baghè t, si ispirava a un duo di cornamusa e piva che venivano d a noi in paese a Natale. Poi nella mia formazione c'è di tutto, dal salterello toscano alla musica rinascimentale di Guillaume Dufay a Louis Armstrong, che ho omaggiato nell'album West and Blues inciso per la Ecm».

Parlando più strettamente di jazz.

«Devo molto a Giorgio Gaslini, che mi ha lanciato e che rappresenta la cultura musicale della seconda metà del '900 in Italia. Presto gli renderò omaggio in concerto. Per quanto riguarda il jazz ho assimilato di tutto, sono andato persino a riscoprire il cool di Lee Konitz e Paul Desmond che aveva quel suono così fluido e pulito. Poi mi colpì la visione d'avanguardia di Eric Dolphy quando venne a Milano con la band di Charlie Mingus. Dolphy suonava e raccontava delle storie con finali inimmaginabili, fu uno sprone per me per continuare a improvvisare».

Quanto è importante per lei l'improvvisazione?

«È un elemento fondante della musica. Pochi giorni fa ho eseguito, con i Virtuosi Italiani, una piéce improvvisata basata su La montagna incantata di Thomas Mann».

Com'è il mondo del jazz oggi?

La preparazione dei musicisti non è mai stata così alta grazie alle scuole americane ma anche a quelle europee e anche in Italia ci difendiamo bene. Manca l'aria che si respirava negli anni '60 e '70, quando ascoltare jazz era di moda e si andava a Milano per ascoltare i grandi concerti. Quello spirito è rimasto nel rock ma è differente; del resto il jazz non è facile, bisogna prima capirlo e poi farsi trascinare dal suo mood.

Poi manca il sostegno delle istituzioni; di questi tempi è difficile trovare istituzioni che dedichino spazio, tempo o fondi al jazz».

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