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L’Uomo nell’Alto Castello, il finale della serie tv delude

L’Uomo nell’Alto Castello giunge al termine del suo racconto. Ecco cosa non ha funzionato nella serie tv di Amazon tratta dal libro di Philip K. Dick

L’Uomo nell’Alto Castello, il finale della serie tv delude

Quarta ed ultima stagione per L’Uomo nell’Alto Castello, siamo alla resa dei conti per i personaggi della realtà in cui a vincere la seconda guerra mondiale sono state le potenze dell’Asse.

L’Uomo nell’Alto Castello: dove eravamo rimasti e com’è la nuova stagione

Fino a qui a L’uomo nell’Alto Castello non avevamo niente da recriminare, soprattutto ai personaggi principali interpretati da Rufus Sewell e Alexa Davalos, rispettivamente John Smith e Juliana Crain. Ad esclusione di alcuni episodi della prima stagione, in cui Juliana Crain e Joe Blake si trovavano nella zona neutrale, abbiamo visto un mix perfetto di storia e fantascienza, il genere ucronico al suo meglio. In particolare, nella stagione precedente la componente fantascientifica del multiverso è divenuta centrale per due motivi: da una parte le mire espansionistiche del reich, dall’altra la sopravvivenza di Juliana Crain e quindi la liberazione della sua realtà.

Dalla quarta stagione, data l’esplorazione dei diversi mondi, ci si aspettava una conclusione emozionante. Invece così non è. John Smith, grazie alla nuova carica di reichmarshall degli Stati Uniti, ha il diretto controllo del lavoro di Mengele e del portale sul multiverso, ma anziché seguire le direttive di Himmler lo vediamo sfruttare la nuova tecnologia per questioni familiari, mostrando il lato “umano” del suo personaggio. Ma non fatevi ingannare dai rimorsi e titubanze varie, il John Smith che vediamo è la “versione” più cinica di quest’uomo. Per quanto riguarda Juliana Crain, invece, scopriamo che la sua fuga in un’altra realtà, grazie alla meditazione, avrà solo il senso di un breve esilio, con le visioni e lo studio degli esagrammi dell’I Ching, già visti con Tagomi, che prenderanno il posto del viaggio tra le dimensioni nella guida alla liberazione dal regime nazista.

Cosa non ha funzionato nella stagione finale

Nel corso dei dieci episodi finali, invece di assistere all’epilogo del racconto, vengono inseriti nuovi elementi, disorientando così lo spettatore sul senso di questa stagione. Fa il suo ingresso il movimento Black Communist Rebellion che opera a San Francisco e la cui resistenza darà del filo da torcere agli occupanti giapponesi. Altra novità è il figlio del capo ispettore Kido e come viene affrontato il problema del disturbo post traumatico dovuto ai suoi trascorsi in battaglia. Dal lato tedesco, invece, la grande ascesa di John Smith ai vertici del partito, in seguito al mezzo fallito colpo di Stato di Joe Blake e padre, subisce una battuta di arresto. Himmler, ormai führer del reich millenario, insieme alla gelida moglie Margarete ed agli altri gerarchi, inizia ad avere dubbi sul reichmarshall Smith e la sua famiglia: la moglie Helen e la figlia Jennifer mostrano in più occasioni di non condividere i metodi del regime, a differenza di John, il quale, nonostante sia tormentato dai ricordi, è sempre fedele, oltre che ormai perso nell’uomo che è diventato. Quindi, valutando i contenuti e il ritmo della narrazione forniti, possiamo definire gli episodi in questione come materiale per una “normale” stagione: niente di tutto questo fa intendere di essere di fronte ad una fase conclusiva.

Ritroviamo con piacere il personaggio di Hawthorne Abendsen (Stephen Root), figura dai toni epici della prime stagioni, ma ormai non più fondamentale come un tempo. Abendsen viene tenuto in vita dai tedeschi per motivi propagandistici, obbligato a girare filmati che ricordano una versione nazista della serie tv degli anni ‘60 “Ai confini della realtà”. Vengono (giustamente) approfonditi i personaggi di Kido e Smith: il primo decisamente più umano di quanto visto in passato, mentre il secondo ormai senza alcuna redenzione. Ciò nonostante vengono anche dedicati molti momenti ad altre storie meno interessanti. Come quelle della BCR di San Francisco e di Robert Childan, le quali, per quanto rispettabili nel loro messaggio - da una parte quello della resistenza e dall’altro quello dell’amore - finiscono per rubare “tempo prezioso” a quello che tutti vogliono vedere, cioè l’intreccio tra i personaggi nelle diverse realtà e le ripercussioni dei viaggi nel multiverso: in altre parole, i nazisti riusciranno ad attraversare il portale ed occupare gli Stati Uniti degli anni '60 nella realtà in cui questi hanno vinto la guerra? Riuscirà il reich ad espandere lo “spazio vitale” in ogni linea temporale?

Un finale non all’altezza della serie

La possiamo chiamare “maledizione del multiverso”. È successo in passato a Fringe, serie tv di J.J. Abrams che dopo un magnifico percorso nella fantascienza e la scoperta di più realtà con molteplici versioni di noi stessi, giunse ad una conclusione deludente. Destino amaro che è toccato poi anche al multiverso raccontato da The OA, con la storia di Prairie interrotta bruscamente da Netflix. Ora tocca a L’Uomo nell’Alto Castello, la cui stagione conclusiva, per come è stata affrontata, più che un series finale sembra essere invece un modesto finale di stagione, il quale rimanda ad un futuro capitolo il compito di mettere la parola fine alla storia della serie tv.

Purtroppo non è così, almeno in questa realtà.

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