Cultura e Spettacoli

L'amore segreto di Napoleone all'Elba

Nel 1971 lo scrittore di Luino, in vacanza sull'isola, lavorò a un breve testo sull'Imperatore

L'amore segreto di Napoleone all'Elba

I villeggianti che nei mesi estivi affollano i ponti delle navi traghetto per l'Elba, che la raggiungono da Livorno o Piombino, quando vedono sulla linea del mare profilarsi la sua sagoma azzurra, pensano alle spiagge assolate sulle quali si stenderanno, al fresco Procanico che troveranno in tavola, ai paesi che visiteranno sull'uno o sull'altro versante o sulle pendici dei monti, da Porto Azzurro a Rio Marina, da Cavoli a Capoliveri, da Marciana a Procchio. Pochi corrono col pensiero a Napoleone Bonaparte, che la mattina del 3 maggio 1814, dal ponte della fregata inglese Undaunted, a gambe larghe, con le mani dietro la schiena e in testa il suo cappello a lucerna, guardava sopra le acque l'esiguo profilo del suo nuovo, ridicolo regno. Giunto davanti a Portoferraio, girò lentamente lo sguardo dall'uno all'altro dei due forti che chiudono la rada, lo Stella e il Falcone. Alla vista della sua striminzita capitale, che si stendeva su povere case lungo la curva del porto, sentì una stretta al cuore.

La presa di possesso dell'isola doveva avvenire il giorno dopo. Occorreva dar tempo per «regolare il cerimoniale della sua entrata e del suo ricevimento» come scrisse malignamente la contessa d'Albany a Foscolo. In verità non era ancora pronto un alloggio conveniente al nuovo principe e non si aveva avuto il tempo di predisporre l'animo degli elbani a un'accoglienza festosa.

Nel primo pomeriggio del giorno seguente Napoleone, impaziente, sbarcò davanti all'intera popolazione dell'isola, dodicimila abitanti in tutto, accorsa in gran fretta ad ossequiarlo.

«Vi sarò buon padre» disse in un breve discorso. «Siatemi buoni figli». I commissari delle potenze vincitrici che lo accompagnavano, l'austriaco Koller e l'inglese Campbell, erano soddisfatti. Il dio della guerra aveva smobilitato l'animo e si disponeva a fare da buon padre a dei buoni figli.

Per quel giorno, fu tutto un succedersi di discorsi e di acclamazioni, chiuse da un Te Deum solenne cantato nella chiesa parrocchiale. Ma la festa continuò per le strade e per le piazze anche dopo che Napoleone era andato a dormire nel palazzo comunale.

La mattina dopo, stanco dell'inazione alla quale era stato costretto durante i quattro giorni del viaggio per mare, Napoleone montò a cavallo e con un po' di seguito andò a prendere cognizione delle risorse economiche dell'isola, costituite quasi esclusivamente dalle miniere di ferro di Rio sulle quali contava molto non potendo fare affidamento sull'appannaggio che gli era stato decretato né sui propri scarsissimi mezzi. A Rio si informò dei sistemi d'estrazione del minerale e del suo trasporto, ma anche delle possibilità agricole di quella parte dell'isola. Tornò a Portoferraio passando dal forte del Volterraio, alto sopra lo stretto di Piombino e simile a un nido d'aquila.

A metà maggio, lasciati i locali del municipio dov'era stato alloggiato, passò nella villa dei Mulini, rapidamente riadattata e ampliata tanto da poter accogliere la sua piccola corte, con Paolina e le sue dame di compagnia, la madre Letizia, Maria Luisa e il Re di Roma, questi ultimi quando e se fossero arrivati. «Non ho tue notizie» aveva scritto alla moglie il giorno stesso del suo insediamento all'Elba. «È una pena di ogni giorno Tutto tuo Nap.».

Il giorno 26 maggio arrivò sull'isola la sua Guardia agli ordini del generale Cambronne: sei o settecento uomini, destinati in buona parte a morire pochi mesi dopo a Waterloo.

Con le altre forze militari di cui disponeva, a termini del trattato di Fontainebleau, Napoleone aveva all'Elba un esercito in miniatura di 1647 uomini e ottanta cavalli, oltre alle cinque navi tenute alla fonda nella baia di Portoferraio.

I suoi nemici gli avevano lasciato quel campionario di forze militari perché potesse compromettersi definitivamente con una fuga o con un colpo di testa che fornisse agli inglesi il pretesto per eliminarlo definitivamente dall'assetto europeo e possibilmente dal novero dei viventi. Pare infatti che gli inglesi non solo si astennero dall'impedirgli la partenza dall'isola, ma che addirittura l'avessero favorita.

Il cuore dell'esule era, come sempre, diviso. Maria Luisa e il suo figlio legittimo erano lontani. Che egli sperasse e aspettasse di essere raggiunto è dubbio, se è vero che dal momento del suo sbarco all'Elba non pensò che ad andarsene e a riprendere nelle mani le redini del suo destino. Se desiderava il loro arrivo, era solo per metterli al sicuro, fuori da mani nemiche, mentre tornava a riportare la guerra sul continente. Giuseppina di Beauharnais era morta di difterite alla Malmaison il 28 maggio dell'anno prima, quando apparentemente occupato a fondo del suo nuovo minimo regno si dava gran cura per fortificare degli isolotti di Pianosa e della Palmaiola.

Maria Walewska se ne stava a Firenze col suo piccolo Alessandro. Sapendola vicina, Napoleone dovette inviarle un messaggio col quale la invitava col figlio all'Elba in gran segreto. Desiderava che la notizia di quell'incontro non turbasse le trattative che aveva sempre in corso per ricongiungersi a Maria Luisa d'Austria. Forse per tale ragione, più che per il caldo estivo, aveva lasciato le dimore di San Martino e dei Mulini nei dintorni dell'infuocata Portoferraio e aveva fatto piantare la sua tenda da campo a seicento metri d'altezza, sotto la cima del Monte Giove, presso il Santuario della Madonna del Monte.

Circondato dal suo quartiere generale prendeva il fresco di quelle verdi montagne quando il 27 agosto fu informato che Maria Walewska, partita da Firenze per Livorno, si era imbarcata sull'Abeille che faceva vela verso l'isola. Cominciò a scrutare col suo cannocchiale l'orizzonte, finché il 1° settembre avvistò un brick in rotta verso la costa elbana. Mandò una carrozza a Portoferraio con alcune persone fidate perché prelevassero col favore del crepuscolo la contessa e il suo seguito, sbarcati clandestinamente fuori dal porto, in località San Giovanni. Scese quindi verso Marciana Marina ad aspettare la carrozza. L'incontro avvenne di notte e per strada alla luce delle torce. Napoleone abbracciò l'amante e strinse al petto il piccolo Alessandro coprendolo di baci. Portando il figlio sulle braccia, parlandogli e facendolo parlare, risalì verso i suoi attendamenti. Pareva, a quanto dissero i testimoni di quell'incontro, un uomo felice. Passò due giorni sotto i castagni del Monte Giove con la Walewska e il piccolo Alessandro. Solo due giorni. Poi, saputo che a Portoferraio le autorità locali stavano preparando dei grandi festeggiamenti, avendo scambiato i visitatori segreti per Maria Luisa e il Re di Roma, si affrettò a rispedire gli ospiti sul continente.

Maria Walewska con suo figlio, il fratello e la sorella che l'avevano accompagnata nel viaggio, raggiunse l'Abeille a Portolongone, si imbarcò nonostante il maltempo e scomparve per sempre dalla vita di Napoleone Bonaparte, dopo aver portato per l'ultima volta, come una pietosa Veronica, il profumo della sua fresca giovinezza all'eroe che cominciava a salire il suo lungo Calvario.

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