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L'anno dei flop per i sequel, attendendo Bourne

Hollywood sfrutta sempre stesse trame e personaggi, ma il botteghino non paga Ora torna Matt Damon. Come andrà?

L'anno dei flop per i sequel, attendendo Bourne

D'accordo. Matt Damon, l'attore bostoniano che voleva sganciarsi dalla saga di Jason Bourne, ma poi è tornato al suo ruolo più famoso, assicura che il nuovo episodio dell'agente segreto smemorato e fortissimo, ispirato ai romanzi di Robert Ludlum, stavolta «supererà James Bond», quanto a sorprese, effetti speciali, adrenalina: qui Matt ha solo venticinque righe di dialoghi. In attesa di vedere, dal primo settembre, Jason Bourne. Conosci il suo nome, numero quattro della mitica saga, non possiamo far altro che guardare al presente annus horribilis dei sequel come a un serpentone spiaggiato al botteghino. Un flop ha tirato l'altro, come le ciliegie. Se gli studi di Hollywood continuano a non avere uno straccio d'idea, ripercorrendo sentieri già tracciati con la scusa del motto «squadra che vince non si cambia» e pensando di convogliare in sala padri, figli e pure nonni, com'è successo con l'ultimo Star Wars -, i numeri parlano.

E dicono che la platea, ormai più intrigata dalle piattaforme digitali, è stufa degli eterni ritorni al cinema. Prendiamo Tartarughe Ninja. Fuori dall'ombra, ora in sala: nonostante il 3D e star come Megan Fox e Laura Linney, il seguito dei guerrieri bendati e col carapace ha lasciato freddino il box office, con un 46 per cento d'incassi in meno, rispetto al precedente e un guadagno di 35,3 milioni di dollari. Bottino magro, se comparato ai 65,6 milioni rastrellati in precedenza negli States, mentre nel mondo si era arrivati alla favolosa cifra di 493,2 milioni di dollari.

Sotto la media aspettativa, comunque, ci sono finiti anche X-Men: Apocalypse e Alice attraverso lo specchio. Il supereroe di Bryan Singer ha racimolato, in totale, 120 milioni di dollari: pochino, se confrontati con i 160 milioni del più carismatico X-Men le origini- Wolverine. Quanto al povero Johnny Depp, in caduta libera personale e professionale, il suo fantasy dopo due settimane ha incassato 50 modesti milioni di dollari: Alice in Wonderland aveva totalizzato più del doppio nel solo week end d'uscita, raggiungendo 1 miliardo di dollari nel mondo. Non ci sarà un terzo seguito, meno male.

La sequela fallimentare, quest'anno, è cominciata con Allegiant, terzo film della serie Divergent con Shailene Woodley a contrastare Hunger Games, l'ormai superato franchise con Jennifer Lawrence, che sta invecchiando e preferisce opere impegnate. Adolescenti e distopia a gogò stavolta hanno portato a casa soltanto 110,6 milioni di dollari, raccolti internazionalmente. Un altro blockbuster pompato invano, perché Hollywood deve affrontare un nuovo problema: gli amanti del cinema non amano i sequel. Tra l'altro, registi sotto pressione per fare meglio e di più, rispetto agli episodi precedenti, sempre più spesso dichiarano forfait, mettendo in crisi le produzioni. È il caso di Elizabeth Banks, che ha mollato il set di Cattivi vicini 3, mentre il numero 2 della serie aveva incassato il 56 per cento in meno dell'originale (21,8 milioni contro i 49 del Pitch Perfect anno 2012).

La Banks, che comunque resta nella produzione del franchise, ha testualmente dichiarato: «Ci sentiamo obbligati a tirare fuori il miglior film della serie, ogni volta. E al terzo episodio, sarà difficile far meglio». Con un quadro del genere, è evidente che i sequel hanno perso il loro potere d'attrazione, mentre il potenziale cinespettatore viene bombardato dallo streaming e dalle più ghiotte offerte televisive di qualità, da fruirsi comodamente in salotto. Magari, occorre aspettare il momento opportuno, andando a caccia di nuovi territori da esplorare. O, forse, è questione di qualità e non di categoria d'appartenenza. Sembrerebbe di sì, stando al Ghostbusters versione femminile, fatto a pezzi dalla critica: impossibile raggiungere i livelli del film originale.

La coda estiva, però, si annuncia ancora sotto il segno, fin qui negativo, della serialità. Siamo in attesa di Star Trek. Beyond, Independence Day: Rigenerazione, Jason Bourne 4 e Alla ricerca di Dory, seguito del delizioso film d'animazione Alla ricerca di Nemo (2003), che nel primo week end di programmazione incassò 70 milioni di dollari. In nome del politicamente corretto, la Disney ha inserito in Alla ricerca di Dory una coppia lesbica (la pesciolina Dory, nell'originale Usa, è doppiata da Ellen DeGeneres, omosessuale dichiarata). Un passo importante verso l'inclusione, certo. O un primo passo falso per la Disney, che, preparando il sequel di Frozen, viene già pressata dalla lobby LGBT perché inserisca, anche qui, una relazione gay.

Minestre riscaldate, insomma, con una spolveratina di correttezza politica: fuga di mezzanotte, ovvio.

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