Cultura e Spettacoli

L'architettura «vera» torna al centro della nuova Biennale

Luca Beatrice

Un sodalizio professionale che dura dal 1977, quando Yvonne Farrell e Shelley McNamara fondano lo studio Grafton Architects a Dublino. Un'attività intensa, fondata sulla pratica professionale di un'architettura concreta, figlia del minimalismo britannico che supera la maniera, sobria e geometrica. Grafton firma uno degli edifici più importanti tra quelli costruiti in Italia, il nuovo edificio dell'Università Bocconi di Milano, che non deve sottostare ad alcun compromesso e ritardo a Torino Renzo Piano costretto ad abbassare il grattacielo IntesaSanPaolo perché la Mole deve restare più alta, a Roma il cantiere del Maxxi di Zaha Hadid dura oltre dodici anni - ponendosi come una delle prime costruzioni volte a rinnovare e rilanciare l'immagine di Milano, così come la vediamo adesso.

Scelte dal Cda della Biennale di Venezia per dirigere la 16ma Mostra internazionale di architettura (26 maggio 25 novembre 2018), Farrell & McNamara hanno presentato concept e titolo alla stampa. «Rivelare la presenza o l'assenza in genere dell'architettura, se intendiamo come architettura il pensiero applicato allo spazio nel quale viviamo e abitiamo», secondo il presidente Paolo Baratta è lo stimolo di FREESPACE, formula calzante e facilmente comunicabile, risultato di un manifesto d'intenti diffuso la scorsa estate cui hanno aderito 71 partecipanti negli spazi canonici del Padiglione centrale ai Giardini e l'Arsenale, più altre due sezioni Close Encounter, con lavori che nascono su progetti del passato e The Practice of Teaching, ovvero la pratica dell'insegnamento, fondamentale per il duo irlandese, titolari della cattedra di architettura all'Accademia di Mendrisio, un'eccellenza internazionale.

Scorrendo l'elenco degli invitati tra questi Alvaro Siza, Peter Zumthor, Benedetta Tagliabue, Cino Zucchi, David Chipperfield, Diller + Scofidio, Alejandro Aravena (direttore della scorsa edizione), SANAA, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Odile Decq, Toyo Ito - sembra di essere tornati a una mostra che mette al centro l'architettura aldilà delle tante possibili contaminazioni con altri linguaggi che hanno caratterizzato la mostra negli ultimi anni. Un'espressione figlia degli anni '90, senza ismi o tendenze ma con individualità che hanno lavorato su un'idea di spazio sociale, in alcuni casi strumento politico. Scrivono nel testo programmatico: «Crediamo che la pratica dell'architettura significhi perseverare, impegnarsi e rigenerare la continuità della cultura architettonica. Dobbiamo prenderci cura della cultura, come ci si prende cura di un giardino. Nell'architettura il tempo non è lineare. L'architettura ricompone il passato, il presente e il futuro. Il tema è rappresentato da un approfondimento speciale all'interno della mostra dove il passato è reso vivo dal nuovo punto di vista degli architetti contemporanei».

Attesa anche per il Padiglione Italia, affidato a Mario Cucinella, che sta lavorando sul tema dell'Arcipelago.

Sessantacinque le partecipazioni nazionali, con 7 paesi presenti per la prima volta, due progetti speciali a Forte Marghera e il Padiglione delle Arti applicate; Meetings on Architecture è il fitto programma di conversazioni spalmato su tutta la durata della mostra, occasioni di ascoltare dal vivo le voci dei protagonisti invitati a confrontarsi sul tema FREESPACE.

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