Cultura e Spettacoli

La lingua del "lecchino" batte dove il dente duole

Gli adulatori seriali sono una specie insidiosa. Dietro i falsi elogi nascondono il loro vero sentimento: l'odio

La lingua del "lecchino" batte dove il dente duole

Chi è il lecchino? È quello che t'accompagna al mercato a comprare le scarpe e se non ti stanno dice che è perché il tuo piede è modellato meglio della calzatura. L'adulatore a tutti i costi e contro ogni evidenza, che chiaro in testa ha solo di dover galleggiare con parole e gesti per potersi adattare al tuo piacere. L'adulatore, però, potrebbe nascondersi anche in un caro amico, che per una volta ci vuole far sentire coccolati. Pericolo: il lecchino va al volo separato dagli amici cari, dai parenti e dai colleghi, perché è peggio d'un corvo, che divora i cadaveri, mentre l'adulatore divora i vivi. Come riconoscerlo, dunque? Difficilissimo: come chimera, cangiante s'insinua e prende le sembianze più opportune: è un mammifero, perché sugge le mammelle altrui; un quasi-pesce, ibrido e ittiomorfo come le sirene omeriche, perché nel cantare le nostre lodi crea dipendenza e ci incatena; un uccello, perché fa la muta e si rende adatto a tutte le stagioni. E rettile: serpente tossico, ipnotico.

Il lecchino è infine - scoperta necessaria alla sopravvivenza - un soggetto meritorio di teorizzazioni: se ne possono tentare classificazioni tassonomiche, derivanti dal suo essere monstrum naturae; lo si può osservare da una prospettiva antropologica, pedagogica e sociale o se ne può ricostruire una piccola storia tascabile nelle sue tappe fondamentali. È ciò che ha cercato di fare Antimo Cesaro - saggista, ex deputato e docente di filosofia politica e teoria del linguaggio all'Università della Campania - in Breve trattato sul lecchino (La nave di Teseo, pagg. 108, euro 13). Un libretto che, spulciando con dotta precisione Aristotele, Teofrasto, Machiavelli o Musil, primi teorizzatori della figura del lecchino, contiene certezze, finalmente, su come separare il grano dal loglio quando dobbiamo decidere a chi aprire i segreti del cuore e quelli del portafogli, chi considerare amico o chi buttar giù dalla torre. Certezze provvide in un periodo in cui di fondativo è rimasto poco ed è facile ridurre una figura come il lecchino, antica al punto da divenire un topos letterario e culturale, a superficiale etichetta di gergo.

Se si è buoni o addirittura buonisti, il volumetto fa il suo effetto lo stesso: non è infatti necessario mostrare disprezzo per gli adulatori o condannarli senz'appello insieme ai loro fan, come fece il Manzoni nelle Osservazioni sulla morale cattolica («L'adulazione è, secondo la legge di Dio, un peccato e chi non sa quanti sofismi ha inventato il mondo per giustificarla?»), sfogliando il libretto di Cesaro. Anzi, scorrendo le gesta di Larcio Licinio, Etienne de la Boétie, Giulio Alberoni o Talleyrand fino ad arrivare a Giosuè Carducci, «Adulatore servile di gonne real umil lecchino», spesso la condanna morale inaugurata da Dante nell'«Inferno» della sua Commedia si tramuta in quello che Elias Canetti ne La provincia dell'uomo (Adelphi) - citata da Cesaro nell'illuminante capitolo «Piccoli lecchini crescono» - descrive come un tragico destino: «Gli adulatori appassionati sono i più infelici degli uomini. Di tanto in tanto li coglie un odio selvaggio e imprevedibile per la creatura che hanno a lungo adulato. Quest'odio, non possono padroneggiarlo; a nessun prezzo riescono a domarlo; vi cedono come la tigre alla sete di sangue».

In un momento in cui sugli schermi e tra le candidature agli Oscar domina La favorita - uno dei migliori film sul lecchinaggio mai girati -, non si può sottovalutare questo odio-boomerang, che spesso oggi sfocia in volumi di memorie scritte dal braccio destro del presidente o della star di turno o in post e petizioni all'arsenico contro l'azienda di cui fino al giorno prima si era top manager. Perché il lecchino, oltre che campione di lingua, lo è di retorica: Proust, ad esempio, ci fa notare Cesaro, per difendere le sue mosse di adulazione calcolata e «flatterie incensatrice» trovò il modo, in Jean Santeuil, di smascherare la franchezza come «bava del cattivo umore»: lungi dal rivelare una bendisposta attitudine alla sincerità, essa sottende invece un'aggressività malcelata.

Fate attenzione, sempre: è la più grande lezione di questo libretto.

Somma tra le certezze dev'essere quella che il vero lecchino, o chi sostiene l'esser cortigiano e parassita come sistema d'esistenza, proverà a rendervi incerti: prima del mondo e poi di voi stessi, perché dobbiate appoggiarvi a lui solo.

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