Cultura e Spettacoli

L'Italia sta andando in pezzi? La nostalgia non ci salverà

Guido Maria Brera ed Edoardo Nesi raccontano bene la caduta del nostro Paese. Ma la malinconia non basta

L'Italia sta andando in pezzi? La nostalgia non ci salverà

Tutto vero, tutto giusto, quanto scrivono Edoardo Nesi e Guido Maria Brera in Tutto è in frantumi e danza (La nave di Teseo, pagg 180, euro 16). Bello il titolo, bello il sottotitolo (L'ingranaggio celeste), bella la copertina, tre elementi fatti per sedurre e che seducono. Pur essendo un libro-conversazione, sulle trasformazioni socio-economiche (innanzitutto economiche) del nostro tempo, non ha una scrittura giornalistica bensì letteraria. Quanto mi piacciono i toscanismi del pratese Nesi: «vagellare» per straparlare, «diaccio» per freddo, «vociare» per gridare... Brera nonostante il cognome (è lontano parente di Gianni) purtroppo non inserisce lombardismi ma comunque se la cava bene. E la quarta di copertina, vogliamo parlarne? «Ricordi quando vivevi nel migliore dei mondi possibili, e non te ne accorgevi neanche?». Mi ha ricordato la frase in cui Talleyrand concentrò mirabilmente la nostalgia per l'ancien régime: «Chi non ha vissuto gli anni prima della rivoluzione non può comprendere la dolcezza del vivere». Ecco, ho trovato la parola-chiave: nostalgia. Tutto è in frantumi e danza è libro mostruosamente nostalgico e io sarò pure un reazionario ma di nostalgia non ne posso più. Se c'è qualcuno che ha in antipatia la globalizzazione è il sottoscritto, anch'io vorrei tornare ai dazi, alle dogane, alla lira come Nesi (e in misura minore, se ho capito bene, Brera): nel frattempo però voglio vivere al meglio il tempo che mi è toccato in sorte. Sto scrivendo il presente articolo indossando pantaloni Incotex, calze Gallo, intimo Lisanza Uomo, maglia Fedeli (l'esatto contrario dei «cenci maledetti» prodotti in Cina contro cui l'ex industriale tessile Nesi si scaglia in molte pagine), e quando l'avrò finito mi metterò al volante di un'automobile Fiat perché mi sforzo di credere che esista ancora un'industria automobilistica nazionale... Inoltre bevo Lambrusco, affetto salame di Felino, mangio formaggio dell'altopiano di Asiago, insomma sostengo il prodotto italiano in lungo e in largo: nessuno può accusarmi di esterofilia.

Ora che davvero tutto è in frantumi, come nel titolo ricavato da Jim Morrison che a sua volta echeggiava Nietzsche, l'unica salvezza possibile è personale. Quella collettiva è preclusa: temo anch'io, come scrivono i due autori più di me ferrati in materia (specie il finanziere internazionale Brera), che il debito pubblico sia impagabile e che il declino della nostra economia sia irreversibile. Ma ho sviluppato una strategia di sopravvivenza in due mosse: 1) non considerare gli anni Novanta così meravigliosi; 2) non considerare questi anni Dieci così disastrosi. Prima mossa: bisogna convincersi che si invecchia, ci si ammala, ci si dispera, si muore in ogni decennio, dunque nemmeno i Novanta erano l'età dell'oro, nemmeno allora nei fiumi scorreva latte. Nel '92 scoppiò Tangentopoli che trascinò nel gorgo molte aziende e molte vite: Sergio Moroni, Gabriele Cagliari e Raul Gardini, per citare solo i suicidi più illustri. Non c'era l'euro eppure le poetesse cadevano ugualmente dalla finestra: Amelia Rosselli a Roma nel '94, Claudia Ruggeri a Lecce nel '96... E le belle ragazze cadevano ugualmente nel Mississippi: chiediamolo ad Albano come sono stati gli anni dopo il '93, dopo la scomparsa di Ylenia a New Orleans. Guido Maria Brera, sebbene usando maiuscole ironiche, scrive: «Eravamo più o meno tutti certi che col nuovo millennio il pianeta stesse finalmente avviandosi verso il Bene, e che il Futuro avrebbe portato altra Pace e altra Prosperità». Più o meno tutti ma non io che leggevo Ida Magli (Contro l'Europa), Alberto Arbasino (Paesaggi italiani con zombi), Guido Ceronetti (La pazienza dell'arrostito) e uno scrittore nuovo, tale Michel Houellebecq (Le particelle elementari). Chi leggeva costoro e magari Naipaul (Fedeli a oltranza) e Huntington (Lo scontro delle civiltà) era al contrario abbastanza certo che ci si stesse avviando a grandi passi verso il Male. Ma bastava ascoltare Giovanni Lindo Ferretti che quando Gheddafi ancora tratteneva gli africani in Africa e il WTO ancora tratteneva i cenci cinesi in Cina, nel '94, cantava: «È stato un tempo il mondo giovane e forte / il nostro mondo è adesso debole e vecchio».

Seconda mossa: in questi anni Dieci cercare di non vivere di solo pane, e lo dico pur essendo un industrialista, un anti-decrescista. Semplicemente mi rifiuto di idolatrare la materia, la quantità. Non ci si può tormentare perché gli italiani hanno ridotto il raggio delle loro vacanze. «In quei giorni la figlia di un nostro operaio si sposò, e in viaggio di nozze andò in Polinesia. Per due settimane. Mi sembrò una cosa meravigliosa», scrive un Nesi melanconico. Io trovo sufficientemente meraviglioso che qualcuno ancora si sposi, e se la luna di miele la trascorre a Polignano a Mare proprio non vedo il problema. Arte, letteratura, religione: sono queste le mie personali vie di fuga, a costo zero o a costo basso eppure capaci di arricchire tantissimo la vita.

E di non farci affogare dentro la «oscena stagnazione che ci attende».

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