Cultura e Spettacoli

«L'Orchestra di Lucerna è adrenalinica La Scala? Pereira ha pensato in grande»

Il direttore dirige la «Sesta» di Mahler con la compagine che fu di Toscanini

Piera Anna Franini

Il cuore del Festival di Lucerna è la sua Orchestra, ed è un lusso di manifattura italiana. Atto di nascita: 1938, per volere di Arturo Toscanini che ottenne un complesso d'élite radunando i migliori orchestrali in circolazione. Riccardo Chailly dal 2016 ne ha assunto la direzione mantenendo la peculiarità di un'orchestra che nasce ad agosto e si scioglie in ottobre. Sabato, Chailly torna a dirigere l'Orchestra di Lucerna nella Sesta Sinfonia di Mahler, altre due date svizzere quindi il ritorno a Milano dove - fino al 2022 - Chailly è direttore musicale della Scala e direttore principale della Filarmonica scaligera.

L'Italia ha creato festival originali. Mancano però colossi come i Festival di Lucerna o di Salisburgo. Perché?

«Per la verità guardo con rispetto al Verdi di Parma o al lirico dell'Arena di Verona. Vedo poi con quanto impegno si lavora al Rossini di Pesaro. Non sarei così pessimista».

Cosa occorre per fare in Italia un festival-polo del lusso musicale, di forza dirompente?

«Per programmare cartelloni di un certo tipo, quindi avere i più grandi complessi del mondo, è richiesto un sostegno economico davvero importante. Manifestazioni come queste esigono una grande responsabilità finanziaria. Alla Scala, con Alexander Pereira è stato fatto questo discorso».

allude al pensare in grande?

«Si è voluto dare alla Scala un'allure internazionale aprendosi alle grandi compagini sinfoniche, dai Berliner ai Wiener per fare due esempi. Questo non va dimenticato».

L'estate prossima, alla Scala entra in campo il nuovo sovrintende Dominique Meyer pur al fianco di Pereira che uscirà di scena nel 2021. Ha già incontrato Meyer?

«L'ho incontrato brevemente. Abbiamo rimandato gli incontri a fine anno. Ora è ancora tutto in evoluzione».

Quanto vi conoscete?

«Abbiamo collaborato una volta a Parigi per concerti legati a Berio e Mahler».

Il contratto con la Scala scade nel 2022. Poi?

«È prematuro dire più di quanto detto. C'è ancora un biennio con Pereira».

Sempre a proposito di Scala. Finalmente avete trovato il tenore di Tosca, l'opera d'inaugurazione della Scala con Anna Netrebko nel ruolo del titolo.

«Sarà Francesco Meli che tra l'altro ha già lavorato con Netrebko in Giovanna d'Arco, così come Netrebko aveva già lavorato con Luca Salsi (sarà Scarpia) in Andrea Chénier».

Dove c'è Netrebko, tende ad esserci anche il marito tenore Yusif Eyvazov, accadde anche nel 2017 per l'inaugurazione scaligera. Come ha fatto a spezzare la coppia?

«Lavoro con Anna Netrebko da anni e benissimo, è una grande professionista. Non ho mai avuto pressioni. Per Chenier chiesi io di avere Yusif Eyvazov per quel debutto di ruolo. Ritenevo che avesse la voce adatta anche se mi era chiaro che avrei dovuto lavorare molto con lui. Alla fine il risultato fu vincente. Ma ripeto: non ho mai avuto pressioni di alcun tipo».

Sono giorni di immersioni mahleriane. Ma Tosca si avvicina

«Sto ristudiando la partitura da tempo e Casa Ricordi mi sta dando un grande supporto. Per la prima volta si sentirà la versione di Tosca del 1900, quella dell'esecuzione a Roma».

Sabato farà la Sesta di Mahler, musicista nel dna dell'Orchestra del Festival.

«Su Mahler, gli orchestrali di Lucerna sono stati forgiati da Abbado. Proseguono un percorso importante. Questa è una partitura impervia, al limite delle difficoltà. Ogni volta si rinnova la sfida di eseguirla».

Qual è il punto di forza di questa orchestra?

«Rinasce ogni anno, e nessuno ha l'obbligo di tornare a farne parte, domina la volontà e libertà di appartenenza. Si lavora per settimane in modo intenso, è un'immersione assoluta. Per questo c'è un entusiasmo epidermico, ed è tale che addirittura capita che lo debba frenare.

Non si respira la cosiddetta maledetta routine».

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