Cultura e Spettacoli

Quella lotta a colpi di «manifesti» tra il fascista Gentile e il liberale Croce

Pubblicati assieme i due testi che accesero la polemica politica anni '20

Giancristiano Desiderio

Il Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali di tutte le Nazioni fu scritto da Giovanni Gentile, rivisto da Benito Mussolini, e fu pubblicato sui principali quotidiani italiani il 21 aprile 1925. Una risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani al manifesto degli intellettuali fascisti fu scritto da Benedetto Croce, sollecitato da Giovanni Amendola, e fu pubblicato su Il Mondo il 1° maggio 1925. I due testi sono passati alla storia come Manifesto degli intellettuali fascisti e Manifesto degli intellettuali antifascisti e, scritti dai due più importanti filosofi italiani del '900, che prima furono amici e poi divennero nemici, hanno avuto sempre vita editoriale autonoma e separata. Ora la casa editrice Aragno li ha riuniti nel volumetto 1925. I due manifesti, a cura di Antonio Maria Carena.

Leggendo i testi e le relative testimonianze ci si fa un'idea viva della scena politica e pubblicistica del tempo. Quale tempo? Quello in cui, dopo il delitto Matteotti, le opposizioni al governo Mussolini restavano - come disse Filippo Turati - «sull'Aventino delle loro coscienze» e inventarono di fatto la prima opposizione legalitaria a un governo che, però, fu messa fuori gioco quando Mussolini con il discorso del 3 gennaio 1925 si assunse la responsabilità «politica, morale, storica» di quanto era accaduto e così dicendo avviava la svolta autoritaria che in pochissimo tempo, attraverso le leggi fascistissime, avrebbe trasformato lo Stato italiano in una dittatura alla quale Gentile avrebbe dato la dignità hegeliana di Stato etico. È esattamente in questo punto delicato e dolente ossia nel rapporto tra Stato e coscienza morale, tra politica e cultura, che furono concepiti i due manifesti. Il primo, quello gentiliano, vedeva nel fascismo il compimento del Risorgimento e del liberalismo; il secondo, quello crociano, vedeva invece la fine ingloriosa del Risorgimento e il conflitto inconciliabile tra fascismo e liberalismo.

Le due posizioni non potevano essere più diverse e avverse e rappresentavano il punto più distante raggiunto tra Croce e Gentile che già da qualche mese erano passati dal dissenso filosofico al dissidio politico e, ormai, avevano interrotto ogni tipo di rapporto. Scriveva Gentile nel suo manifesto: «Oggi in Italia gli animi sono schierati in due opposti campi; da una parte i fascisti, dall'altra i loro avversari, democratici di tutte le tinte e tendenze, due mondi che si escludono reciprocamente. Ma la grandissima maggioranza degli italiani rimane estranea e sente che la materia del contrasto, scelto dalle opposizioni, non ha una consistenza politica, apprezzabile e atta ad interessare l'anima popolare». Rispondeva Croce col suo manifesto: «E, veramente, gl'intellettuali, ossia i cultori della scienza e dell'arte, se, come cittadini, esercitano il loro diritto adempiono il loro dovere con l'ascriversi a un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno il solo dovere di attendere, con l'opera dell'indagine e della critica e le creazioni dell'arte, a innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale affinché, con effetti sempre più benefici, combattano le lotte necessarie. Varcare questi limiti dell'ufficio a loro assegnato, contaminare politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno errore generoso».

Il dramma italiano, però, aveva in sé un elemento tragico che andava oltre la scena nazionale ed era manifestazione del dissidio spirituale della vecchia Europa che si scontrava con le teorie e le pratiche totalitarie che avevano già fatto la loro apparizione con la Grande guerra e la Rivoluzione d'Ottobre. Sul piano teorico il dramma è il rapporto tra verità e potere. È l'antico problema platonico del filosofo-re: se chi ha il potere ritiene di possedere anche la verità, allora, si scatena l'inferno. Sul piano pratico il dramma è il rapporto tra lo Stato, le masse e il lavoro. I totalitarismi sono la risposta sbagliata a questi problemi: Gentile teorizza il regime totalitario e crede nella figura del filosofo-re, Croce smonta il cortocircuito tra verità e potere e chiede agli intellettuali di non tradire.

Ma il '900 era appena iniziato.

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