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L'ufficiale e la spia: Roman Polanski non è una vittima

L'ufficiale e la spia è il film che ha riacceso la gogna mediatica contro Roman Polanski: nel raccontare la storia di un militare francese, il regista cerca forse di giustificare anche se stesso e il proprio crimine

L'ufficiale e la spia: Roman Polanski non è una vittima

L'ufficiale e la spia è il film di Roman Polanski che andrà in onda questa sera alle 21.10 su Rai Movie. Tratto dal libro omonimo di Robert Harris, L'ufficiale e la spia, ricostruire un evento storico che ha caratterizzato la storia della Francia di fine Ottocento: il cosiddetto Affaire Dreyfus, che portò all'impegno politico numerosi intellettuali, come lo scrittore Emile Zola.

L'ufficiale e la spia, la trama

Alfred Dreyfus (Louis Garrel) è un ufficiale che viene accusato dall'esercito francese di alto tradimento: sarebbe infatti responsabile di aver intessuto comunicazioni che mettevano a rischio la sicurezza nazionale con uno stato ostile, la Germania. Senza una vera occasione di difendersi dalle accuse che gli vengono mosse, Alfred Dredyfus viene degradato e condonnato all'esilio nell'Isola del Diavolo, il terribile penitenziario della Guyana francese.

Un anno dopo Georges Picquart (Jean Dujardin), ex superiore di Dreyfus, viene messo a capo dei servizi segreti francesi. Ed è in questa posizione che le accuse contro Dreyfus cominciano ad apparirgli fragili: le prove sembrano in realtà suggerire un imbroglio da parte dell'esercito stesso. Dietro l'arresto di Dreyfus, infatti, ci sarebbe una forma di puro antisemitismo. Caratterizzato da un forte senso dell'onore e profondo amante della giustizia, il capitano Picquart continua a indagare sull'affaire Dreyfus, determinato a portare in superficie la verità. In questo viene aiutato anche dallo scrittore Emile Zola, che pubblica un articolo dal titolo J'accuse. La testardaggine di Picquart di svelare il mistero dell'affaire, però, lo renderà un bersaglio per tutti coloro che non vogliono che Dreyfus sia liberato. E ben presto il capitano dovrà guardarsi le spalle anche da quell'esercito che ha sempre servito con lealtà.

Polanski e Dreyfus sono entrambi vittime del sistema?

L'ufficiale e la spia ha avuto la sua prima mondiale al Festival di Venezia del 2019, a cui Roman Polanski non ha potuto partecipare perché, a causa della sua posizione legale con gli Stati Uniti, entrare in Italia avrebbe significato rischiare l'estradizione e, dunque, il carcere. Questo perché, come raccontato dall'Indipendent, nel 1977 Roman Polanski fece assumere champagne e metaqualone - un farmaco con proprietà sedative - a Samantha Gailey (ora Geimer), una bambina di tredici anni con cui poi fece sesso. L'accusa di stupro venne commutata con un patteggiamento che evitava alla ragazzina di dover andare in tribunale e permetteva a Polanski di affrontare una condanna per rapporto sessuale extramatrimoniale con persona minorenne, crimine considerato più "leggero".

Dopo aver saputo che il giudice non gli avrebbe concesso la condizionale, Polanski scappò, rifugiandosi in Francia, Paese che non prevede l'estradizione. E da allora il regista vive a Parigi, impossibilitato per la maggior parte del tempo a lasciare il Paese, senza correre il rischio di un arresto. Con un passato come questo - e un crimine che è stato ammesso dallo stesso Polanski, che accettò l'ammissione di colpevolezza - sarebbe stato lecito aspettarsi che il regista di origine polacco venisse messo al bando dal mondo del cinema. Polanski, invece, ha continuato ad avere una carriera piuttosto ricca, culminata proprio con la presentazione del suo film al Festival di Venezia, in piena epoca Me Too.

Un'ammissione al concorso che non è piaciuta all'allora presidente di giuria, la regista Lucrecia Martel che, secondo Cineblog, avrebbe commentato: "Io non separo l’uomo dall’opera. Quando ho saputo della presenza di Polanski, ho voluto indagare e consultare scrittori per farmi un’idea e ho visto che la vittima ha considerato il caso chiuso non negando i fatti, ma dicendo che in qualche modo il regista aveva pagato a sufficienza per il suo crimine. Se lei ritiene che in qualche modo la cosa sia chiusa, io non posso occuparmi della questione giudiziale ma posso semplicemente solidarizzare con la vittima. Non mi sarà facile affrontare il film e non voglio partecipare al gala perché rappresento donne nel mio Paese che sono vittime di questo tipo di abusi, per cui non mi sento di alzarmi e applaudire".

A fare scalpore era stata soprattutto la decisione della presidente di giuria di non presentarsi al galà di un film in competizione ancor prima di aver visionato la pellicola in esame. Più tardi la regista venne chiamata a fare qualche passo indietro, anche per la minaccia del produttore Luca Barbareschi di ritirare il film dalla competizione. A questo punto Lucrecia Martel ha affermato: "Non mi congratulerò con lui, ma credo che Polanski meriti una chance perché il suo film è una riflessione su un uomo che commette un errore. È un dialogo importante oggi, perciò credo che sia opportuno che se ne parli e il suo film sia presente al festival."

Questa dichiarazione di Lucrecia Martel ha aperto poi un'altra discussione che, stavolta, riguardava il film stesso. Nel prendere visione de L'ufficiale e la spia si ha come la sensazione che, per parafrasare l'Huffington Post, l'affaire Dreyfus sia, in realtà, l'affaire Polanski. Come il capitano spedito all'Isola del Diavolo, anche Roman Polanski è un uomo ebreo, che ha provato sulla propria pelle l'antisemitismo, e che è stato costretto dal suo governo a vivere come un esule. Tra i tanti livelli che il film offre, ce n'è uno in cui sembrerebbe che Polanski voglia, in qualche modo, vestire i panni della vittima, dell'uomo cacciato dal proprio Paese e costretto a vivere come un reietto, ad affrontare gogne mediatiche a ogni nuova opera presentata.

In un certo senso è emblematico il titolo originale dell'opera: J'accuse, come l'articolo scritto da Emile Zola per Dreyfus. Un'accusa portata dunque in primo piano, davanti al pubblico sempre più vasto dell'era dei social e delle condivisioni a ogni costo. Ma, a differenza di altre registi ritenuti problematici come Woody Allen, Roman Polanski non può in nessun modo nascondersi dietro la maschera della vittima perché, davanti alla legge, si è già dichiarato colpevole e, dunque, carnefice. Ecco perché Dreyfus e Polanski non sono due volti della stessa medaglia, non rappresentano l'uno la maschera dell'altro e paragonarli non solo sarebbe scorretto, ma permetterebbe a Polanski di giustificarsi per il crimine commesso e passare come un innocente perseguitato dalla giustizia.

E in un'epoca tanto fitta di fake news come quella attuale bisognerebbe sempre stare attenti a manovrare la realtà e la percezione di essa.

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