Cultura e Spettacoli

L'ultimo grande maestro che ha vissuto per recitare

L'attore aveva quasi novant'anni. Al cinema e a teatro ha esibito classe ed eleganza. Il «no» ad «Amici Miei»

L'ultimo grande maestro che ha vissuto per recitare

Nel solco amaro di Eduardo, aveva piantato il seme del grande teatro. Senza perdere di vista la commedia all'italiana, che sul grande schermo lo vide tra i più solidi interpreti. Carlo Giuffré, scomparso ieri a 89 anni nato a Napoli il 3 dicembre 1928, il 3 dicembre avrebbe compiuto gli anni tondi si è sempre mosso tra le due scene, commedia dell'arte e commedia all'italiana, con l'esperienza e la classe degli interpreti d'una generazione irripetibile.

Non a caso, tra il 1947 e il 1948, era uscito dall'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica insieme a Nino Manfredi e Vittorio Gassmann. «Tra noi c'era aggregazione. Anche con cattiveria, ma eravamo uniti», diceva, ricordando il giorno in cui, a Napoli, entrò al Teatro Mercadante, sentendo urla provenire dallo stanzone dei sarti. Erano Gassmann e Tino Buazzelli che litigavano ferocemente per una parte.

Altri tempi di onore personale da difendere con le unghie e coi denti. Al punto che Giuffré, con suo rimorso, nel 1974 rifiutò di lavorare in Amici miei (1975) di Mario Monicelli, perché il suo ruolo prevedeva facesse i propri «bisogni» nel vasino di un bimbo. Grazie al grande scontroso del cinema italiano, quel Pietro Germi dimenticato perché non schierato a sinistra, l'attore s'era affermato nel 1956, con Il ferroviere. E con un altro misconosciuto del Pantheon cinematografico, Luciano Salce, Giuffré si trovò a girare quattro film, dopo averlo conosciuto all'Accademia. Finché, con la sua faccia da persona di mondo, ma perbene, non gli arrivò il David di Donatello grazie a Son contento (1983) di Francesco Nuti.

Come avrebbe affermato la sceneggiatrice Suso Cecchi D'Amico, tra i giurati del David, il premio l'avrebbe dovuto vincere un anno prima, quando interpretò La pelle di Liliana Cavani. E i grandi nomi di Cinecittà non facevano corona invano, intorno a Carlo, che ogni sera, a teatro, ricominciava da capo. «Il teatro è tutta la mia vita. A casa barcollo, m'ingobbisco, mi annoio, ma in teatro ritrovo il passo. È un'altra storia. In scena si guarisce: gli attori vivono più a lungo, perché vivendo le vite degli altri, le aggiungono alle loro», scherzava. Con il fratello Aldo (1924-2010) il pubblico faticava a distinguerli -, l'interprete partenopeo strinse un patto di ferro artistico: nel 1949 i fratelli Giuffré debuttarono con Eduardo De Filippo, per non lasciarne più l'eredità drammaturgica, tanto da mettere in scena, Carlo regista, Le voci di dentro, Napoli milionaria, Non ti pago! e Natale in casa Cupiello, aggiungendo «verve» al teatro napoletano di tradizione.

L'ultima volta in cui Carlo ha calcato le assi, è stato nel 2015, con un adattamento teatrale del film di Steven Spielberg Schindler's List. L'anno dopo, avrebbe siglato l'ultima apparizione cinematografica con Se mi lasci non vale, commedia di Vincenzo Salemme.

C'era un'amarezza, però, che il cinema aveva dato a Carlo, per mano di Roberto Benigni: il Benignaccio, nel 2002, in fase di montaggio aveva tagliato quasi tutte le scene del suo Pinocchio cinematografico, dove Giuffré incarnava Geppetto, padre del burattino. Il mio Geppetto,in privato tanto lodato da Benigni, è diventato un personaggio di servizio. Benigni ha tagliato cose che avevo fatto con tanto impegno. Il mio Geppetto è ridotto a niente: tutto tagliato, si dispiaceva l'attore, rifacendosi a teatro con Miseria e nobiltà.

Come che sia, Benigni è ancora qui, a sfruttare le avventure del burattino di Carlo Collodi, facendo Mastro Geppetto nell'erigendo film di Matteo Garrone. Lui, l'anti-Geppetto che prendeva in braccio Enrico Berlinguer; il fan di Matteo Renzi,che ha difeso la Costituzione in Rai, si calerà nel ruolo che fu massacro e delusione cocente per il povero Carlo. Il quale ebbe la scena teatrale a consolazione umana e artistica.

Entrato nel 1963 nella Compagnia dei Giovani( De Lullo- Falk,-Valli Albani), si misurò con Pirandello (Sei personaggi in cerca d'autore), Cechov (Tre sorelle), Goethe (Egmont). L'alto e il basso; Sanremo (1971) e La signora gioca bene a scopa?(1974),gli sceneggiati tv e la prosa importante: non scordava, Carlo, d'aver visto la madre chiedere l'elemosina, nel 1945.

La morte ha portato via tutto.

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