Cultura e Spettacoli

«L'utero non si affitta Vi racconto il perché senza moralismi»

Umberto Piancatelli

Tema di scontri e polemiche l'utero in affitto è anche al centro di Non mi vendere, mamma! (Edizioni Nottetempo), il nuovo romanzo della scrittrice e giornalista Barbara Alberti che la pone contro certi intellettuali che considerano il commercio di esseri umani una battaglia verso l'emancipazione.

Qual è stata la molla che le ha fatto pensare di scrivere un romanzo contro l'utero in affitto?

«Magari ci fosse una molla, e ta'! Ecco il romanzo. Le idee sono misteriose, ellittiche, girovaghe, e un giorno ti metti a scrivere. Pensavo a una frase del film Sin noticias de Dios: L'unica rivoluzione che sia mai riuscita, è la rivoluzione dei ricchi. Ai figli da piccoli raccontavo che quando erano nella pancia mi parlavano, beffando l'ipocrisia degli adulti. Così è nato Chico, il figlio di Asia, il briccone divino, testardamente deciso a restare con l'unica che riconosca come madre».

La chiamano maternità surrogata. Questa definizione la convince di meno?

«Chico pensa che anche utero in affitto sia reticente: è compravendita. Chico è per qualsiasi forma di maternità e paternità, ma solo se c'è un progetto comune».

Per questa, definita da Avvenire «una favola morale», ha scelto la chiave paradossale, perché?

«Io direi fiabesca. Il paradosso è che si produca la vita umana per venderla, e lo si faccia passare per un atto di libertà. La libertà di essere schiavi? Stiamo morendo di mercato, e facciamo finta di niente».

Qual è il confine fra morale e moralismo?

«Il moralismo è censura, e sospetta del sogno. Il moralismo è statico, la morale è dinamica: si interroga, tiene conto degli uomini. Il moralismo soffoca, la morale libera. Il moralismo è ipocrita. La morale è luminosa, è dubbiosa. Il moralismo ha sempre il dito puntato, mai contro di sé. Gesù è morale, l'inquisizione è moralista».

La fantasia per lei batte la genetica, ma per alcuni scienza, genetica, medicina sono gli unici appigli, l'unica speranza...

«A volte sento l'ombra del Lebensborn, le cliniche naziste per fabbricare ariani perfetti. Io sono antica. Penso che la libertà e giustizia sociale siano le prime cose. Più che stare in questo secolo, gli cammino accanto».

La narrativa, l'opera intellettuale in generale, deve servire anche alle battaglie civili?

«Non deve. Se è riuscita, lo fa. Di qualsiasi cosa parli. La prima battaglia civile è per la libertà del pensiero. Nel geniale Buongiorno professoressa, Vauro riscatta il finale di Pinocchio, che per imposizione dell'editore si trasformava in un ragazzo perbene. Ci presenta Pinocchio adulto, condizionato, scontento- che poco a poco ridiventa l'antico burattino, e corre libero verso il meraviglioso. In Storia umana della matematica, Chiara Valerio dimostra che pensare scienza e poesia come fossero separate, è assurdo- chi sa di matematica capisce meglio anche la Dickinson».

Che pensa della posizione presa da Papa Francesco sull'aborto?

«Finalmente un papa credente, che segue il Vangelo nella sua temerarietà. Il papa sa cosa costa alla donna l'aborto, questo diritto atroce e indiscutibile. È il più paradossale dei suicidi, la donna uccide sé. Se la Chiesa ci ha rinchiuse, atterrire, bruciate, è perché siamo la chiave di ogni potere, perché produciamo la vita. Ora lui ci tende la mano. Si rifiuta di condannarci. Sa il nostro dolore».

Dei personaggi narrati, lei qual è?

«Asia, la madre. Una ragazzina ignorante, ma il bambino invisibile le ispira parole belle e sapienti. È una metafora della scrittura, i miei libri sono molto più belli di me.

E sanno cose che io non saprò mai».

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