Cultura e Spettacoli

Marco Lombardozzi apre le Porte della felicità

Medico e psicologo ha inventato un format teatrale fatto di incontri a tema a metà tra psicoterapia e intrattenimento. Un esperimento che punta a fornire al pubblico alcune chiavi per vivere meglio e liberarsi dal senso di colpa. Perché "essere felici è un diritto, questo però nessuno lo insegna"

Marco Lombardozzi apre le Porte della felicità

Chirurgo, psicoterapeuta, omeopata, con un'attività professionale che si divide tra Roma e Barcellona. Già direttore dell'Istituto Riza di Medicina Psicosomatica di Roma. Ma anche appassionato di teatro e inventore di una originale formula di conferenze-spettacolo, appena andate in scena a Roma al Teatro dell'Angelo, su un tema impegnativo: individuare la strada che conduce alla felicità.

Partiamo dall'inizio. Chi è Marco Lombardozzi? Perché uno psicoterapeuta affermato decide di concedersi questa inconsueta avventura teatrale?

«Nasco come medico omeopatico, fui io a presentare la prima tesi alla Sapienza sul farmaco omeopatico. Poi ho studiato psicoterapia a New York, studiando le teorie di Alexander Lowen. Nel mio percorso mi sono avvicinato a concetti della vita che mi hanno portato ad avere idee più chiare sulle sofferenze del genere umano, sui bisogni profondi e sulle paure di tutti noi. Un'esperienza sul campo che mi ha portato a individuare sette chiavi, le «porte» - gratitudine, silenzio, amicizia, ascolto, coraggio, rispetto e cambiamento - che sintetizzo nelle mie "lezioni"».

Qual è l'obiettivo di queste sue conferenze teatrali?

«Volevo comunicare questi concetti in modo diverso rispetto alla comunicazione singola. Per questo ho inventato un format teatrale, un misto di intrattenimento e terapia, con il supporto importante di un'attrice e di un musicista che esegue composizioni ispirate ai precetti di Gurdjieff. Uno spettacolo che vuole anche divertire, diffondere precetti per sentirsi meglio, offrire al pubblico qualche strumento in più per vivere bene».

Qual è la reazione del pubblico a questo suo esperimento?

«La reazione mi ha positivamente sorpreso. Il pubblico reagisce bene, soprattutto quando riesce a fare tesoro di qualche "consiglio" per migliorare innanzitutto la comunicazione familiare».

Per un professionista abituato ad ascoltare la paure altrui quale emozioni dà salire sul palco?
«Una emozione grandissima, provo tensioni e paure come ogni essere umano. Non è facile affrontare una sorta di monologo di un'ora e venti. Ma è molto stimolante come ogni esperienza di cambiamento e consente di imparare tante cose, nozioni teatrali di postura e recitazione grazie al sostegno e alla capacità del regista Tonino Tosto, ma anche aspetti di me che non conoscevo».

Le piacerebbe mettere in scena una vera opera teatrale?
«Sono aperto a tutto, stiamo valutando dei format più ampi che consentano una sintesi ancora più profonda tra teatro e psicoterapia, ma anche una narrazione che permetta di andare ancor di più verso il pubblico».

Le capita di dover fare i conti con la diffidenza della platea?
«Ci sono persone che si sentono toccate nel vivo, si sentono chiamate in causa laddove metto in discussione amicizie che a volte restano su un piano superficiale o rapporti di coppia in cui si fa fatica a confessare i propri desideri sessuali».

Lei lavora anche all'estero come terapeuta. La crisi economica incide sulle paure e sui problemi dei suoi pazienti e ci sono differenze tra Paese e Paese?

«Nel mondo occidentale i problemi sono sostanzialmente comuni. Si fa fatica ad approcciare la vita con un senso di gratitudine, con l'idea che la felicità debba essere un diritto. Purtroppo il virus più letale che ci viene inoculato è il senso di colpa e il sistema lavora per impaurirci, ci vuole impauriti, crea problemi così da poterci offrire soluzioni. Le persone sono tristi, non può essere solo la crisi. Nel libro "La storia infinita" si parla dell'ombra e del buio che sta prendendo il sopravvento. Ecco, come epoca stiamo vivendo un periodo di questo tipo».

C'è una influenza legata alle religioni orientali oppure le sue lezioni si muovono su un terreno del tutto laico?

«Spazio su un terreno molto vasto, passo dai Vangeli apocrifi, al taoismo, al buddismo. Ma io non credo nelle religioni laddove vengono usate come forma di controllo delle masse, come generatrici di paure o sensi di colpa.

Dello stesso taoismo in cui pure mi ritrovo molto, prendo la visione filosofica, non quella religiosa».

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