Cultura e Spettacoli

Le mareggiate sono riti di passaggio verso la maturità

Pedro Armocida

È, senza forse, il film che ha saputo raccontare con maggiore forza e profondità la resistenza al passaggio tra l'adolescenza e l'età adulta. Utilizzando il surf come una tavola della legge, con la sacralità del mare contrapposta alla maledizione della guerra (del Vietnam). I sogni perduti di una generazione che deve fare i conti con un conflitto di cui non conosce limiti e confini. La nostalgia come spiegazione del senso della vita. Insomma Un mercoledì da leoni, che in questi giorni festeggia i suoi primi quarant'anni, il capolavoro di John Milius (già campione di surf della comunità di Malibù, sceneggiatore prodigio a Hollywood negli anni '70 quando firma la prima versione di Apocalypse Now e partecipa ai dialoghi del film di Spielberg Lo squalo) grazie alla sua epopea dell'amicizia tutta al maschile parla a ognuno di noi e di quel momento di passaggio, apparentemente così sfuggente ma che nell'intimo sappiamo essere così preciso. Chiamatela, se volete, perdita dell'innocenza.

«La grande mareggiata da sud. Estate 1962». È l'incipit del film, ossia la prima delle quattro grandi mareggiate - le altre sono del 1965, del 1968 e del 1974 - che scandisce, come riti di passaggio, l'esistenza di tre amici, «i re di un regno particolare», interpretati da William Katt (chi non lo ricorda poi nella serie tv Ralph supermaxieroe?), Jan-Michael Vincent e Gary Busey: «I tre moschettieri del nostro tempo si chiamano Jack, Matt e Leroy. La loro abilità non si manifesta nell'impugnare il fioretto ma nel cavalcare le tavole da surf. I loro duelli non li impegnano contro le guardie del Cardinale ma contro le onde del Pacifico insieme ad Aramis-Bear, artigiano delle tavole da surf, ex campione e filosofo». Come ricorda il critico Enzo Natta citato in Surf - Un mercoledì da leoni 40 ani dopo del surfer Francesco Aldo Fiorentino e del giornalista di sport Tommaso Lavizzari, appena uscito da Mondadori Electa (pagg. 144, euro 22). Il volume ripercorre la storia del film, ne analizza i contenuti arrivando anche a raccontare la parabola del marchio Bear - il famoso orso inscritto nel rombo - e del suo successo commerciale proprio grazie alla pellicola. Il primo ad acquistare il marchio dallo stesso Milius fu proprio un italiano mentre nel 2014, dopo tanti passaggi societari, l'orso è tornato in mani italiane e vive una nuova stagione di successo nel mondo dell'abbigliamento.

Le quattro grandi mareggiate come le stagioni più drammatiche per gli Stati Uniti: nel 1962 gli Usa entrano nel conflitto in Vietnam; nel 1963 viene assassinato John Fitzgerald Kennedy; nel 1967 scoppiano le rivolte dei ghetti neri e nel film le scene dei disordini di Watts scorrono alla televisione; nel 1968 vengono uccisi Martin Luther King e Robert Kennedy; nel 1969 esplode la rivolta studentesca da Berkeley, in California; nel 1973 il ritiro dal Vietnam; nel 1974 il presidente Nixon si dimette dopo lo scandalo Watergate di due anni prima.

Ricordano gli autori del libro: «Nei dodici anni di vita raccontati dalla storia, i protagonisti sono sempre sulle onde. Apparentemente immutati, eppure cambiano. C'è chi muore, chi si sistema, chi mette su famiglia, qualcuno risponderà alla patria e andrà in Vietnam. Per tutti terminerà la gioventù ma si tornerà sempre lì, a The Point, sulla spiaggia. Nuovi per consapevolezza, uguali per spirito, laddove Dio è il mare».

L'oceano è simbolo dell'esistenza, le mareggiate, come abbiamo visto, rispecchiano i moti ondosi della società mentre il surfista è l'uomo che trionfa sulle avversità della vita rivelando tutto il proprio coraggio di fronte al pericolo delle onde. È il manifesto di un altro '68, epico, virile, amicale ma allo stesso tempo individualista, proprio come il surf simbolo di un'altra controcultura molto lontana da quella dei figli dei fiori, più legata ai valori classici anche se sempre libertaria e, in definitiva, piena di grazia. Chissà se è per questo che il cinema muscolare del regista è stato accusato di essere di destra, anche se è una certa critica di sinistra ad amarlo veramente. Ma Milius è solo un anarchico con una predilezione per Moby Dick e per il ciclo arturiano: «Tutti gli scrittori amano fare cose pretenziose. Io ho infuso un po' di leggende arturiane all'interno del film. L'idea di costruire una tavola speciale, quella che Bear sta shapando sul pontile all'inizio del film, richiama la leggenda della Signora del Lago, il personaggio che dona a re Artù la spada Excalibur. La tavola di Bear, come la spada nella leggenda, è stata fatta per un giorno particolare e importantissimo». Così racconta lo stesso Milius per il quale «Bear è l'equivalente surfistico del capitano Achab, un personaggio dannato con un cupo passato». E quando, alla fine, la tavola verrà regalata a un giovane della spiaggia, ecco che il rito di passaggio all'età adulta diventa definitivo e straziante.

Come una grande mareggiata che cancella le nostre orme bambine.

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