Cultura e Spettacoli

Martin Scorsese: "Al Pacino aveva paura di morire prima di vedere il film finito"

Ironico, realista e senza filtri: Martin Scorsese ha messo tanto di lui nel suo nuovo film "The Irishman", come dimostra nella chiacchierata con il Corriere della Sera

Martin Scorsese: "Al Pacino aveva paura di morire prima di vedere il film finito"

Martin Scorsese è uno dei geni del cinema mondiale. Ha firmato grandi capolavori destinati a diventare immortali e si appresta a portare nelle sale The Irishman, un nuovo lavoro da molti dipinto come il “film testamento” del regista. Paolo Mereghetti l'ha incontrato e intervistato per il Corriere della Sera e dalla loro chiacchierata è emerso un ritratto sincero e disincantato del film.

Il cast è di quelli stellari: se dietro le cineprese c'era il genio di Scorsese, davanti alle camere si muovevano Robert De Niro e Al Pacino. Attori straordinari, che hanno scritto pagine importanti della storia del cinema che si sono cimentati in una nuova esperienza, con uno sguardo al futuro e alle nuove tecnologie ma senza tradire la tradizione e la filosofia del cinema firmato Scorsese.

Tre uomini, tre leggende, over 70 con un fortissimo senso della realtà. “Quando Bob (De Niro) e io abbiamo deciso di raccontare questa storia ho pensato che avremmo potuto imparare qualcosa anche alla nostra età — abbiamo tutti e due 76 anni — e accettare l’idea della mortalità, ammesso che sia possibile farlo. Imparare a vivere con questa consapevolezza. Io glielo ho anche detto esplicitamente: lui mi guardava e annuiva. A un certo punto Al Pacino, che ha due anni più di noi, mi ha detto: 'Spero di vivere abbastanza a lungo per vedere il film finito' per via del tempo lunghissimo, cinque anni, che c’è voluto per sviluppare la tecnologia digitale di ringiovanimento. Ma ce l’ha fatta, grazie a Dio”, ha detto Scorsese al giornalista prima di iniziare a raccontare The Irishman.

Il film racconta il rapporto di Frank Sheeran, uno dei killer più misteriosi della storia americana, con Jimmy Hoffa, personaggio controverso e molto potente a capo del sindacato degli autotrasportatori. È ambientato tra gli anni Cinquanta e Sessanta nell'America dominata dalle faide di mafia, corrotta e insanguinata. Scorsese per il suo film si rifà all'omonimo saggio di Charles Brandt per la fine di Jimmy Hoffa “ma non voglio spacciarla per verità”, dice nell'intervista. Martin Scorsese ha voluto dare uno sguardo introspettivo al personaggio di Frank Sheeran, andando oltre le sue idee politiche, che seppure inevitabilmente parte del racconto restano sullo sfondo nella trama. “Io volevo raccontare solo le sue emozioni di uomo. Quello che mi interessa di una persona come lui è l’amore, il rimorso, il tradimento, la necessità del tradimento. Alla fine, la politica non c’entra: tutto si restringe al fatto che deve tradire la persona cui vuole più bene. Tutto resta focalizzato sull’individuo, sul dilemma umano, sul conflitto morale”, ha spiegato il regista a Mereghetti.

È stato un lavoro di produzione molto lungo quello di The Irishman perché è stato necessario attendere che venissero sviluppate le tecnologie per la sperimentazione digitale del ringiovanimento del volto. Quasi una forzatura per la filosofia cinematografica di Martin Scorsese, che ha girato questo film per il 70% in digitale e il 30% in analogico, proprio per permettere l'utilizzo delle nuove tecniche.

La sua storia professionale insegna e da sempre Martin Scorsese è legato a un'idea classica del cinema, che non vede di buon occhio i film sui supereroi, la cui produzione negli ultimi anni ha subito una crescita esponenziale: “Se ci sono solo quei film, i ragazzi penseranno solo in quel modo, dimenticando che un essere umano a volte deve prendere delle decisioni che non vorrebbe prendere, che esistono le contraddizioni, che il mondo non si divide solo in buoni o cattivi.”

Commenti