Cultura e Spettacoli

Matt Dillon brutale: quando la violenza paga

di Lars Von Trier con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Sofie Gråbøl

Non uscite da quella sala, prima che il film sia finito. Anche se sarete spinti a farlo. Per alcuni l'epilogo fantastico (nel senso di visionario) non si merita ciò che lo precede. Per altri, considerando il regista, Lars von Trier, è il compimento necessario. Per noi, la seconda.

Ma prima, la trama. Stati Uniti, anni Settanta. Jack, ossia Matt Dillon, è uno psicopatico che a causa di un incidente (alla fine saranno cinque, che scandiscono i tempi e temi del film) si scopre serial killer. Faccia simpatica, lorda di sangue, sorriso che si storce in ghigno, una certa propensione artistica (è ingegnere, un esecutore, ma vorrebbe essere architetto, un creatore) e una solida visione filosofica della vita e soprattutto della morte (fin dall'inizio è come se la storia fosse sottotitolata da dialoghi tra il protagonista e la propria coscienza), il meticoloso Jack alla fine firmerà (sì, firmerà: l'assassinio come una delle belle arti...) 60 massacri: la maggior parte donne, uomini, bambini (scena agghiacciante) e persino paperelle... E il lasciare in giro tracce non è un problema, né per Jack né per il regista. Perché dovrebbe esserlo per lo spettatore? Non rimane che calarci tutti quanti da una cella frigorifera dello Stato di Washington direttamente ai gironi infuocati dell'inferno. Virgilio ci aspetta lì.

Nota a margine: La casa di Jack è il primo caso in Italia di un film distribuito in due versioni (quella italiana con tagli, quella originale integrale) entrambe VM18. Regolatevi di conseguenza.

Budget medio basso e cast medio alto (oltre al redivivo Matt Dillon, da ammirare l'ultima apparizione di Bruno Ganz che si materializza nell'epilogo e Uma Thurman che scompare nel prologo), La casa di Jack è il primo film di Lars von Trier dopo la trilogia della depressione (Antichrist, Melancholia, Nymphomaniac). E si capisce. Black humor, sprofondo rosso, gore e catabasi.

Jack, che alla fine costruirà la casa perfetta per i propri capolavori, vuole che il pubblico (dei suoi delitti) lo conosca come «Mr Sophisticated». Come l'opera di Lars von Trier. Sofisticata, citazionista (le fotografie pop di LaChapelle, Delacroix, la serie culto Dexter, Blake, la topografia infernale dantesca...) e brutale. Che non significa brutta.

Anzi.

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