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Messiah, perché la serie tv di Netflix ha fallito nel suo intento

Il grande quesito di Messiah non basta a salvare la serie tv di Netflix che non lascia niente durante la visione e mostra invece una mancanza di qualità

Messiah, perché la serie tv di Netflix ha fallito nel suo intento

Messiah, nuova serie tv di Netflix, affronta il tema della fede ai giorni nostri, raccontando le gesta di un uomo che viene chiamato Messia ma che potrebbe in realtà essere un impostore.

Messiah, cosa succede nella serie tv

La serie tv di Netflix è ambientata ai giorni nostri e inizia il suo racconto in Medio Oriente, precisamente a Damasco. Queste terre sono al centro dello scontro con l’Isis, le cui milizie stanno ormai per entrare in città. È qui, in questo momento, che fa la sua apparizione un misterioso uomo in tunica gialla, il quale inizia a predicare nella piazza principale, rassicurando la popolazione che Dio li salverà.

L’imminente presa della città da parte degli uomini del califfato non avviene, un’incredibile tempesta di sabbia ne rende impossibile la conquista. L’uomo in tunica gialla, acclamato dalla folla, guida così duemila persone dalla Siria fino al confine con Israele e viene chiamato da tutti Al-Massih, il Messia (interpretato da un esteticamente perfetto Mehdi Dehbi).

Fino a questo momento i suoi seguaci sono di fede islamica, i quali cercano, in ogni colloquio, di ricondurlo alla loro religione. Ma questo non sembra incontrare le parole del loro Messia. Di lì a breve questo misterioso personaggio sparisce per riapparire in Texas, davanti ad una chiesa in procinto di essere distrutta da un uragano. La costruzione alle sue spalle sarà l’unica a salvarsi, e grazie a questo secondo stupefacente gesto viene indicato come salvatore anche da chi è di fede cristiana.

Come ne "Il grande inquisitore", questo presunto Messia diventa subito persona di interesse per le autorità, finendo per essere arrestato ed interrogato prima dal Mossad, poi dalla Cia. Quello che preoccupa le autorità sono le ripercussioni geopolitiche delle sue azioni che lo hanno reso celebre in tutto il mondo, con un numero di seguaci che aumenta ad ogni sua apparizione. L’interrogativo di base però finisce per emergere anche negli ambienti più razionali: siamo di fronte davvero al Messia?

Le investigazioni da parte della Cia, in particolare dell’agente Eva Geller (Michelle Monaghan), ci portano però ad un altro scenario. L’uomo che viene acclamato da tutti come il nuovo salvatore è in realtà una persona pericolosa con legami con la Russia e possibili propositi sovversivi. La domanda quindi finisce per essere ancora più netta della precedente: quali sono le vere intenzioni di questa persona?

Cosa non ha funzionato

Il primo punto è a favore di Netflix. Nei dieci episodi di Messiah abbiamo una trama di base molto interessante. L’ipotesi di un secondo avvento ambientato ai giorni nostri solleva grandi quesiti: il mondo riconoscerebbe il nuovo Messia? Dopo quanto indicato nella Bibbia si sarebbe preparati o si commetterebbero gli stessi errori? È un argomento intrigante, soprattutto se lo inserisce nel contesto attuale, oltre l’equilibrio geopolitico mondiale, e più focalizzati sul dilagante populismo e l’utilizzo dei social network quale mezzo di propaganda e convincimento delle masse.

Purtroppo il prodotto di Netflix non convince gli spettatori più avveduti e le riflessioni sulle vere intenzioni di questo Messia risultano essere uno specchietto per le allodole, senza arrivare ad un livello più profondo della questione. In particolare Messiah non è accompagnata da quell’aura di misticismo che ci si aspettava e non insinua poi fino in fondo quel dubbio sul protagonista che invece dovrebbe esserci al verificarsi di certi eventi.

Messiah ha fallito dove The Leftovers riuscì

Damon Lindelof, uno dei più importanti sceneggiatori in campo seriale degli ultimi anni, riuscì dove Messiah fino ad ora ha fallito. Con la seconda e terza stagione di The Leftovers, serie tv targata HBO, Lindelof insinuò davvero il dubbio nello spettatore di assistere ad un racconto incentrato su di un nuovo Messia, o quantomeno su di una Divina Commedia 2.0. Indipendentemente dal discusso finale, durante la visione degli episodi l’atmosfera che si respirava era decisamente più autorevole, elemento necessario visto il tema affrontato.

Inoltre, senza ricorrere a gesti plateali o a somiglianze negli interpreti, vennero inseriti riferimenti culturali inequivocabilmente riconducibili alla religione, a cui si contrapponevano le riflessioni razionali di altri personaggi. Messiah non ha saputo ricreare questo pathos, sminuendo così la seconda venuta di Cristo - vera o meno che sia - e riconducendo la trama ad una eticamente bassa narrazione con un evento mediatico e un intrigo internazionale.

Ancora una volta assistiamo al comportamento schizofrenico dei prodotti originali di Netflix. A volte capaci di grandi produzioni, come il primo titolo House of Cards e le più recenti The Crown e

html" data-ga4-click-event-target="internal">Mindhunter, e poi, sempre più spesso, artefice di serie tv dall’aspetto intrigante ma che di concreto non lasciano nulla, come appunto Messiah.

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