Cultura e Spettacoli

«Mi manca tanto l'amicizia del grande Giorgio Faletti»

Nazareno Giusti

Qualcuno ha detto che Angelo Branduardi è come l'aglio: piace o non piace. Forse è vero. Certo è che questo moderno trovatore, da quarant'anni, gira l'Europa riempiendo piazze e teatri di appassionati, a cui non ha mai fatto mancare album sempre belli, mai uguali. In cui ci si può imbattere anche in brani inaspettati: come una straziante canzone su Che Guevara.

Maestro, come è nata la canzone sul Che?

«Non ho mai condiviso le idee di quello che fu definito rivoluzionario di professione, in particolare l'uso della violenza. Ricordo, però, lo stupore che ebbi nel leggere, nel ventennale della morte, l'ultima lettera che inviò ai genitori. Una lettera commovente, di grande amore filiale, da cui è nato il brano».

Lei non si è mai schierato politicamente, in un period in cui contava molto avere una tessera. Pensa che sia stato per lei limitante?

«No, in effetti non appartenevo a scuole di pensiero preconcetto. Io avevo un'altra strada».

Se iniziasse oggi la sua carriera, come pensa andrebbe?

«Impossibile dirlo. È un mondo molto diverso da quello dei miei inizi. Sicuramente non parteciperei mai a un talent show.

Progetti futuri?

«Tra poco partirà un grande tour europeo, ma per il nuovo album si dovrà aspettare ancora un po'. Intanto, venerdì suonerò nella Cattedrale di Sorrento, sabato nella piazza del Duomo di Melfi e il 3 novembre a Padov»a.

Lei si esibisce, da decenni, in Francia, Germania, Italia, Spagna. C'è differenza tra il pubblico delle varie nazioni?

«Oggi no. Negli anni Settanta, invece, sì. Ricordo che rimasi quasi paralizzato dal silenzio e dall'attenzione del pubblico del mio primo concerto a Monaco di Baviera, abituato a quello italiano che era molto più esuberante, all'epoca».

Un episodio Off della sua carriera...

«Quando, all'inizio, facevo la comparsa alla Scala, durante il Simon Boccanegra, entrando con la lancia, tenuta troppo in alto, feci cadere tutta la scenografia».

Regala ai nostri lettori un ricordo di Giorgio Faletti, autore dei testi dell'album Il dito e la Luna?

«Io e Giorgio ci eravamo conosciuti per caso ed eravamo diventati amici. In un periodo in cui era amareggiato perché alcune cose non andavano bene, gli dissi: perché non provi a scrivere qualcosa? Alcuni mesi dopo venne da me, a pranzo, a raccontarmi il romanzo che aveva scritto. Era Io uccido, e tutti sappiamo lo strepitoso successo che ha avuto. Da quel momento, prima che uscisse un libro, me lo veniva a raccontare.

Era diventata una bellissima abitudine».

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