Cultura e Spettacoli

«Il mio D'Annunzio segreto alle prese con la vecchiaia»

L'attore interpreta il Vate nel nuovo spettacolo al teatro Quirino di Roma: «Non è più il superuomo»

«Il mio D'Annunzio segreto alle prese con la vecchiaia»

Gabriele D'Annunzio nel finale della sua vita, sospeso tra la grandezza di una poesia immortale e la debolezza umana. Gabriele D'Annunzio che fa i conti con la mortalità e con l'impossibilità di essere per sempre un super uomo. Costretto a venire a patti con l'ascesa di Benito Mussolini che gli ruba la scena, che lo imprigiona a colpi di regali e che fa tramontare per sempre il sogno di una rivoluzione diversa, una rivoluzione vera, come quella che il Vate aveva cercato di far iniziare a Fiume. Ecco quello che Edoardo Sylos Labini metterà in scena, con la regia di Francesco Sala, al Teatro Quirino di Roma nel suo D'Annunzio Segreto (dall'11 al 16 ottobre, e poi in tournée nazionale). Ci siamo fatti raccontare da lui - che in passato aveva già impersonato il poeta in Gabriele d'Annunzio, tra amori e battaglie - il versante nascosto del grande scrittore, prigioniero di se stesso al Vittoriale.

Sylos Labini, che cosa dobbiamo aspettarci da questo spettacolo?

«Di vedere un D'Annunzio molto diverso da quello che ho già interpretato. Molto meno esteta, molto meno proiettato all'esterno, molto meno intento a dare di sé la percezione del super uomo. Quello che vedrete in scena è un uomo costretto a fare i conti con la vecchiaia, con la fragilità umana, con il fatto di non scrivere quasi più. Se di giorno è ancora un satiro circondato dalle sue badesse, di notte diventa un altro che deve fare i conti con i suoi fantasmi».

Per ricostruire questo pezzo della vita del poeta che materiali avete usato?

«Grazie a Giordano Bruno Guerri abbiamo avuto accesso a materiali inediti conservati al Vittoriale, soprattutto lettere. Da queste emerge che negli ultimi anni D'Annunzio pensò anche al suicidio. Il famoso volo dell'arcangelo, la caduta dalla finestra di cui molti hanno accusato Luisa Baccara, avrebbe potuto addirittura essere un tentativo di suicidio».

Anni difficili per D'Annunzio.

«Sì, per molti motivi. Lo spettacolo riassume il periodo tra il 1921 e il 1938. Da un lato c'era Mussolini, che temeva il poeta ma era riuscito a metterlo ai margini della vita politica. Il tutto è sintetizzato da quella sua battuta: D'Annunzio è come un dente guasto, o lo si estirpa o lo si ricopre d'oro. D'Annunzio accettò di essere ricoperto d'oro ma in lui c'era molta amarezza, sentiva che con Fiume era andata perduta la possibilità di una vera rivoluzione. E poi c'erano i problemi familiari: i rapporti con i figli erano pessimi. Nello spettacolo lasciamo intravedere le tensioni con il figlio Gabriellino, una volta dovette aspettare in albergo per 45 giorni prima di essere ricevuto al Vittoriale».

Dal punto di vista attoriale è stato molto difficile interpretare il Vate anziano, invecchiarsi?

«Sto lavorando sulla vecchiezza. Come attore adoro le trasformazioni fisiche. Mi sono tolto una lente per avere la percezione della mancanza di visuale dall'occhio destro che affliggeva il poeta. Poi ho lavorato sull'essere curvo, sulla postura, ho anche perso 8 chili. Mio fratello che è un preparatore atletico mi ha molto aiutato ad assumere una camminata da anziano. Poi abbiamo usato un espediente che avevamo già usato nel precedente spettacolo. Siccome D'Annunzio era molto più basso di me, tutte le attrici che interpretano le donne attorno a lui sono molto alte: Giorgia Sinicorni, Evita Ciri, Chiara Lutri, Priscilla Micol Marino e Viola Pornaro che interpreta Eleonora Duse».

Ecco, la Duse. Muore nel '24: come entra nella rappresentazione?

«D'Annunzio le parlava. Ogni anno nella data della sua morte D'Annunzio si ritirava nella stanza del lebbroso a meditare. Era anche affascinato dalle sedute spiritiche e dall'occulto, e lei restò sempre il grande amore rimpianto. Ecco perché la facciamo ricomparire in forma fantasmatica. Anche da morta resta una figura fondamentale, materna. Riassume in sé anche il complicato rapporto del poeta con la madre».

Cosa resta oggi secondo Lei di D'Annunzio?

«La poesia, quella è immortale. In questa sceneggiatura alla quale ho lavorato con il bravissimo Angelo Crespi, con cui ho collaborato anche per Nerone. Duemila anni di calunnie e La Grande Guerra di Mario, abbiamo cercato proprio di evidenziare che a restare è quella che va oltre ogni fragilità umana. D'Annunzio poi è attualissimo, molte delle cose che scrive potrebbero essere tranquillamente riferite all'oggi. Nel '21 scriveva: Non c'è oggi in Italia nessun movimento politico sincero e condotto con una idea chiara e diritta. Più attuale di così...

».

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