Cultura e Spettacoli

Morante, finalmente in scena il dramma «stupefacente»

Morante, finalmente in scena il dramma «stupefacente»

Un'esperienza abbagliante. Una prova artistica «enigmatica e misteriosa», la definisce Mario Martone, regista del grande cimento. Stasera al Carignano di Torino va in scena per la prima volta da quando è stato pubblicato, casualmente ma simbolicamente nel maggio '68, La serata a Colono, unico testo teatrale licenziato da Elsa Morante all'interno di un'opera più ampia composta di quattro capitoli e intitolata La commedia chimica (seconda parte de Il mondo salvato dai ragazzini). All'inizio dei Sessanta, affascinata dalla Beat Generation, la scrittrice aveva voluto provare alcune sostanze in voga nella cerchia degli intellettuali americani. Sperimentò l'LSD, la psilocibina, la mescalina del peyote. I «ragazzini» erano ovviamente i ribelli dell'epoca che avevano suscitato anche nella scrittrice bagliori di speranza senza tuttavia soggiogarla in pieno, come confermò il Piccolo manifesto dei comunisti (senza classi né partito), pubblicato postumo.
Da quelle prove stupefacenti nacque una ricerca letteraria, condensata in altrettanti paragrafi intitolati La sera domenicale, con le tre iniziali rivelatrici, La smania dello scandalo e, appunto, La serata a Colono per il teatro. «Per molti anni», osserva ora Martone, «quel testo ha rappresentato nel teatro italiano una sorta di stella lontana ma luminosa, di quelle che ai naviganti danno l'orientamento nella notte». Nella messa in scena firmata dallo Stabile di Torino (con il Teatro di Roma e lo Stabile delle Marche) per l'interpretazione di Carlo Cecchi nella parte di Edipo e le musiche di Nicola Piovani, quella stella lontana apparirà improvvisamente vicina. La vigilia è, perciò, dominata da «uno stato d'animo molto eccitato, in attesa del salto mortale di stasera», confida il regista. Tanto più mèmori dei tre precedenti tentativi di rappresentazione dell'opera. Il primo, al cinema, con Eduardo De Filippo nel ruolo di Edipo e Carmelo Bene alla regia; il secondo a teatro con Vittorio Gassman; il terzo già con Carlo Cecchi, amico personalissimo della scrittrice moglie di Moravia. Tutti tentativi abortiti, causa la complessità del testo e la difficoltà a interpretare una parte di eccezionale lunghezza, senza un filo che si possa seguire «com'è uso nelle scritture della logica sintattica».
Siamo «verso sera, in un dolce tiepido novembre, intorno all'anno 1960. Nell'interno del policlinico di una città sud europea, in un corridoio attiguo al reparto Neuro-deliri», viene introdotto, stretto da cinture di contenzione, un vecchio con fronte e occhi avvolti da garze. Il malato in preda a crisi paniche e visioni oniriche è un piccolo proprietario dell'Italia meridionale, figlio di madre suicida, seminarista, emigrante in Sudamerica, contadino, militare violento durante la campagna d'Africa della Seconda Guerra Mondiale, prigioniero. Ma la diagnosi che lo accompagna al ricovero è «sospetto ricorso narcotici». Al Neuro-deliri viene accolto da un coro di pazzi salmodianti, da tre guardiani e una suora indaffarata. In realtà, attorno alla barella di colui che si crede Edipo, si affanna solo la figlia Ninetta, una ragazzina selvatica e analfabeta di quattordici anni che lui chiama Antigone. Nella forza di un testo allucinato, sempre sfuggente e visionario, che alterna la lingua densa e colta del protagonista con quella scarna e sgrammaticata della figlioletta, la tragedia di Sofocle viene rivisitata con citazioni dalla filosofia indiana, Hölderlin e i poeti della Beat Generation.
Edipo rappresenta l'manità piagata, attonita, priva di grazia? «La colpa dell'Edipo della Morante non è l'uccisione del padre e l'incesto, ma la tensione alla conoscenza», suggerisce Martone. Un delirio di «cose nascoste alla innocente salute». Cerca la verità, vuole scandagliarne i segreti, «ma ne resta avviluppato. E gli rimane solo l'amore della figlia ignorante», antenata di quegli analfabeti innocenti, cui dedicherà anni dopo La Storia.
La serata a Colono è prova assai impegnativa anche sul piano recitativo. «Stare legato alla barella, con gli occhi bendati per un'ora e mezza», spiega Cecchi, «è una condizione crudele per un attore. La parte impone un'intensità e una concentrazione eccezionali», con diverse cifre stilistiche che richiedono un'esibizione da performer più che da interprete comune».
Cecchi e Martone ricompongono la coppia di Morte di un matematico napoletano. Ma stavolta, visti i precedenti, il solo fatto di mettere in scena un'opera tanto impervia è già una scommessa vinta. «Avvertiamo grande responsabilità nei confronti di un testo tanto inafferrabile e prismatico», osserva Martone. «Ma voglio pensare che la scommessa sarà vinta quando riuscirà a conquistare davvero il pubblico. Fermarsi a una lettura solo esoterica sarebbe tradire il grande slancio vitale di cui è intrisa tutta la letteratura di Elsa Morante.

E dunque vorrei che questa capacità di rapporto col pubblico si riproponesse anche attraverso un coinvolgimento emotivo e non solo intellettuale».

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