Cultura e Spettacoli

"Il mostro di Udine", la serie sui delitti dimenticati

Tra il '71 e l'89 nove casi sono stati chiusi senza soluzione. Questa docufiction riapre l'indagine?

"Il mostro di Udine", la serie sui delitti dimenticati

Sanguinosa provincia. Bagliori di lame sotto la pioggia fitta. Il freddo dell'inverno del nord-est. Donne sole e isolate: dal destino, dalla comunità, dalle scelte sbagliate. E poi lui, il Mostro. Su Crime+Investigation (in esclusiva su Sky canale 119 e Sky On demand) arriva da mercoledì 22 maggio alle ore 22 - Il Mostro di Udine, prima serie italiana di real investigation. Prodotta da Ascent per A+E Networks Italia, diretta da Matteo Lena, questa docu-fiction di taglio internazionale promette di inchiodare sul divano lo spettatore appassionato dei cosiddetti «cold case», quei casi abbandonati negli archivi per il semplice fatto che il colpevole non è stato acciuffato.

A trent'anni dalla morte dell'ultima vittima Marina Lepre, la serie racconta di un caso criminale pressoché sconosciuto: una serie di donne (molte prostitute) uccise in modo efferato tra il 1971 e il 1989. Erano gli anni del terrorismo rosso e nero, del terremoto in Friuli, dell'eroina che falciava le vite dei giovani negli anni '70 e '80 e, a differenza del più celebre Mostro di Firenze, questo serial killer non attirò troppo le pagine nazionali.

Per almeno quattro di questi omicidi gli investigatori hanno ipotizzato la stessa mano: forse un chirurgo, perché sui corpi delle povere donne il rituale recitava grande abilità nell'incidere profondi tagli dal petto al pube «evitando accuratamente di colpire l'ombelico». Strangolate, poi sventrate da tramortite: crudeltà inaudita. La narrazione del Mostro di Udine scorre tra interventi dei detective di allora e dei parenti delle vittime (persone che fino a oggi non hanno mai parlato pubblicamente) e un montaggio avvincente. In più, una ricerca di materiali nuovi o abbandonati così riuscita da spingere l'avvocato Federica Tosel (legale incaricata dai parenti di due delle vittime) a presentare formale istanza di riapertura delle indagini. A raccontare i fatti di allora appaiono nella serie addetti ai lavori come Edi Sanson, ex-carabiniere che indagò sul caso, e l'ex comandante del Ris Luciano Garofano. «Il nostro sguardo resta fisso sul profilo del serial killer e, soprattutto, su chi è rimasto col proprio dolore: i parenti delle vittime. A loro fu negato l'accesso agli archivi: la tv ci è riuscita, ed è curioso. Resta il mistero di una provincia di centomila abitanti, dove pullulano caserme, dove alcuni casi sono stati seguiti con scrupolo, altri in modo frettoloso. Una provincia dominata, in quegli anni, da un certo perbenismo e dall'influenza della Dc: nessuno amava parlare di prostitute uccise.

Forse, da qualche parte, laggiù qualcuno sa».

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