Cultura e Spettacoli

"Le multinazionali? Nate quando le banche sposarono la scienza"

Lo sceneggiatore di "Bohemian Rhapsody" racconta l'incontro fra Edison e JP Morgan

"Le multinazionali? Nate quando le banche sposarono la scienza"

Anche ad Anthony McCarten, scrittore, produttore, drammaturgo e sceneggiatore (alla terza candidatura agli Oscar, per Bohemian Rhapsody, dopo quella per La teoria del tutto e quella, come miglior film, per L'ora più buia), si è accesa una lampadina, quella notte del 1997. Dormicchiava sul suo divano a Los Angeles (città dove vive, anche se è neozelandese), guardava i Lakers in tv, lavorava al suo primo romanzo. Poi è finito su History Channel: «C'era una illustrazione, in bianco e nero, di alcuni uomini con le bombette, che sfilavano lungo Madison avenue nella Gilded Age di New York, intorno al 1880. Quello che colpiva era che, sulla cima dei loro cappelli, spuntava una lampadina brillante. Un'immagine surrealista, stranamente futurista, magica. Quegli uomini sembravano essersi trasformati in robot, in macchine». Quegli uomini erano impiegati di Thomas Alva Edison, il genio, il protagonista del romanzo che, da quella notte, iniziò a nascere nella mente di McCarten: E luce sia (Frassinelli, pagg. 268, euro 17,50), storia del «matrimonio» (infelice, alla fine) fra l'inventore del fonografo e della lampadina e uno dei primi squali della finanza, il banchiere J.P. Morgan.

Che cosa stavano facendo quegli uomini?

«Erano pagati per dimostrare quanto fossero sicure la nuova lampadina e, soprattutto, l'elettricità stessa. Edison voleva dimostrare la sua tesi. Voleva cambiare il mondo. E alla fine lo ha fatto, ma in molti più modi di quanto immaginasse».

Perché la colpì tanto quell'immagine?

«Dopo quei dieci minuti di documentario sulla battaglia di Edison per affermare la sua lampada a incandescenza e il sistema a corrente continua come standard industriale, per i quindici anni successivi ho lavorato a un romanzo sulla Gilded Age, che gettasse una luce sul mondo in cui viviamo».

Che tipo di luce?

«Durante l'università a Wellington ebbi la sensazione, comune per uno studente, che le banche e gli affari dominassero la società e il nostro modo di pensare, al punto da distruggere le nostre speranze e le nostre aspirazioni come specie. Alla fine identificai le corporation e, soprattutto, le multinazionali finanziarie, come i nemici della giustizia globale... E mi chiesi: da dove viene questo sistema? Chi lo ha inventato? Quando? E perché? Le famose quattro W».

Risposta?

«Gli anni Ottanta dell'Ottocento, il culmine della Gilded Age, sono stati il momento in cui, in America, i banchieri hanno smesso di essere solo i noiosi tesorieri dei nostri soldi. Sono diventati interessanti. E pericolosi. Ci sono fin troppi paralleli con la lista dei guai economici di oggi. Un noto economista dell'epoca osservava un sentimento diffuso di malcontento e di rivoluzione incombente nella società».

Il sogno di Morgan era creare una corporation che controllasse elettricità, ferrovie, tutto. Senza concorrenza...

«Morgan aveva una visione economica nuova, napoleonica. Previde che i conglomerati internazionali sarebbero diventati più potenti dei governi, che si sarebbero dettati le proprie regole, liberi dalla meschina ingerenza dei politici. Arruolando uomini come Edison costruì nuove industrie da zero. L'opinione e il favore di Morgan erano più ricercati di quelli dei presidenti, o dei principi».

Edison è indeciso, ma poi accetta i soldi di Morgan e di lavorare per lui.

«Edison ha realizzato conquiste grandiose, ma è stato ingenuo sui pericoli che una persona creativa come lui avrebbe corso legandosi al mondo dei grandi affari. La sua abilità di inventare, per sua stessa ammissione, fu danneggiata per sempre dal suo coinvolgimento con l'ethos di Wall Street e di J.P. Morgan».

Come immagina Edison?

«Preferisco immaginarlo da giovane, quando la sua mente era aperta: un idealista, vestito come un vagabondo, al lavoro giorno e notte, spinto da un sogno che lo divorava, quello di illuminare il mondo. Quest'uomo, sordo, tagliato fuori dal mondo, voleva usare i suoi talenti per trascendere i suoi limiti. La sua sordità l'ha portato verso il suono, verso l'invenzione di modi per catturarlo e riprodurlo. È una idea interessante, che le nostre debolezze possano renderci più forti».

Hawking, Churchill, Edison: indaga i lati oscuri dei grandi personaggi?

«Credo che Edison, che aveva un'etica forte, abbia deviato consapevolmente dai suoi principî, pensando che la vacanza dal suo vero io fosse solo temporanea. Edison era sicuro di riuscire a mantenere viva la sua fiammella interiore, ma è raro che vada così. Quella fiammella è fragile, e può spegnersi».

È difficile non tradire i propri ideali, di fronte ai soldi?

«La mia tesi è che un'offerta di denaro quasi illimitata corrompa di per sé. La fiammella di Edison si spense, almeno per un po', e lui attraversò il periodo più buio della sua esistenza, quando fu coinvolto nell'invenzione della sedia elettrica. Alla fine, Morgan ha solo sfruttato quelle debolezze di Edison che sono le stesse comuni a quasi ognuno di noi. Mi fa venire in mente Groucho Marx: Questi sono i miei principî. Se non vi piacciono, ne ho degli altri...».

I suoi eroi soffrono anche per il senso di colpa, soprattutto verso la famiglia.

«Ciascuno di noi soffre. I grandi non soffrono in modo diverso, ma quello che fanno per superare i loro problemi è la chiave della loro grandezza».

Questo romanzo diventerà un film?

«Forse. Credo sarebbe un bel film».

Il suo ultimo lavoro, Bohemian Rhapsody, è candidato all'Oscar. Che cosa prova?

«Delizia e sorpresa. Bohemian Rhapsody ha ricevuto forse le recensioni peggiori della mia vita, ma è il mio maggiore successo commerciale. Ringrazio la saggezza della folla, le persone che hanno deciso di testa propria».

Che differenza c'è fra un romanzo e una sceneggiatura?

«Ho iniziato come drammaturgo e sceneggiatore. Ho imparato l'importanza della trama, della storia. La drammaturgia mi ha insegnato quanto l'azione possa essere espressa da ciò che viene detto. Nei miei libri forse c'è un po' più dialogo del normale».

La sceneggiatura?

«Ha più a che fare con l'azione che con il dialogo: impari come un personaggio sia rivelato da quello che fa, anziché da quello che dice. E poi per me il lavoro cinematografico è un antidoto alle privazioni monastiche della scrittura solitaria».

Hawking, Churchill, Freddie Mercury, Edison: il suo «eroe» preferito?

«Nessun preferito. Sono tutti molto diversi, ma hanno una cosa in comune: il coraggio».

Il suo prossimo progetto?

«John Lennon e Yoko Ono».

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