Cultura e Spettacoli

La navigazione di Sgarbi fra tenebre e illuminazioni

Da Caravaggio a Tiepolo con la «bussola» del maestro Longhi. In un mare vasto due secoli

La navigazione di Sgarbi fra tenebre e illuminazioni

Ha una passione tanto furiosa che quasi la seppellisce tra le macerie dove non ci sono quadri da ripulire, lustrare e addizionare nel gran Tesoro d'Italia. Vittorio Sgarbi ha il coraggio di un caterpillar nel ficcarsi nell'ombra e nella luce del '600. È uno dei pochi che potrebbe sostenere l'urgenza di ogni ricostruzione (vedasi le distruzioni del terremoto) senza perdere tempo. Infatti, in Dall'ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo (La nave di Teseo, pagg. XXVI-574, euro 25), possiede non la vacua genialità bensì il lavoro testamentario dell'homo faber. Vittorio Sgarbi è iscritto ad honorem alle corporazioni delle Arti e Mestieri della civiltà comunale. E in questo sterminato viaggio da Caravaggio a Tiepolo, come un navigante vichingo o fenicio, usa un'unica bussola: Roberto Longhi. Senza disdegnare le aperture letterarie, le digressioni paradossali, il coraggio di porre «i minori» nella luce, come se andasse dicendo: Dài a Cesare quel che è di Cesare!

Non a caso Sgarbi sceglie di navigare nel Seicento quando, a proposito di Guido Cagnacci, scrive: «Il Barocco è fantasia e invenzione senza limiti». Noi potremmo aggiungere che il Seicento è Carne e Misticismo, è Guerre, Carestie e Peste. È la stagione del: Ricordati che devi morire, quella del simbolo dell'orologio che batte inesorabile il tempo e ci stritola nei suoi ingranaggi (L'orologio da rote di Ciro di Pers). E sappiamo, Vittorio Sgarbi più di ogni altro, che questa fertilità e fecondità fu cara anche al Manzoni che non scelse questo secolo a caso. Ma soprattutto il Barocco è l'ultima stagione della teocrazia laica, personificata da Re Sole, prima che ai suoi eredi la Rivoluzione tagliasse la testa.

Ma Vittorio Sgarbi, anche se in questo sterminato libro va verso il cielo e la luce di Tiepolo, parte dal buio, inizia dalle tenebre (noi diciamo dal bianco e nero per paradosso rispetto ai colori), da colui che inventò «fotografia» e «luce elettrica», da colui che anticipa di secoli i «Vinti» di Giovanni Verga (grande intuizione del ferrarese!). È costui dunque il Re Sole, la bussola, il big bang: Caravaggio.

Rubens lo incrocia e lo subisce; Gentileschi si ammanta di una speciale purissima organza come se la Danae volesse difenderla dalla violenza di chi tentasse per follia scambiare Caravaggio con Mapplethorpe, e Gentileschi con Edward Weston. Il viaggio senza soste e pause di Vittorio Sgarbi è partito!

Di Artemisia, basti Cleopatra (per nulla vicina alla melodrammatica Cleopatra di Liz Taylor), Sgarbi scrive: «La figura femminile, di sgraziate forme e quasi insolente pesantezza fisica, è elegantemente contenuta da un panneggio rosso di tagliente evidenza. Ma è appunto un contrasto, giacché tutto, nella donna, parla di sensi e di sensualità. E non solo, evidentemente, per il peso del corpo, mai così abbandonato, dilagante come neppure nei soggetti più crudi di Caravaggio, ma anche per il volto languido e lascivo. Così che questa Cleopatra è un paradigma di realismo, in un vero e proprio innamoramento per Caravaggio, sia pure senza indulgere nella ripetizione dei soggetti». Sgarbi è faber, è testamentario, non molla: «Sentiamo gli odori, il sudore, la puzza». E Francesco Guerrieri: «pittore della realtà senza spettacolo»; Angelo Caroselli che taglia il volto della sua Vanitas con la più bella ombra «caravaggesca». E dunque l'idea geniale del gioco borgesiano che «accade» nel mentre la Vanitas indica con il dito il libro sotto il quale c'è il teschio: «di quello che potrebbe essere stato L'Ignoto di Antonello». E per chiudere, da Angelo Caroselli allo Pseudo Caroselli: teatralizzante e teatrale in fuga da Caravaggio.

Vittorio Sgarbi non scava macerie ma oro. E trova la colonia francese a Roma negli anni successivi la morte di Caravaggio: Valentin de Boulogne, Nicolas Tournier, Claude Vignon, fino «all'eccentrico» Georges de La Tour: «Così, bari, soldati, bevitori, giocatori, zingare si muovono tra sarcofagi e rovine, senza tradire... con la stessa deflagrante potenza di Caravaggio». Ecco: Simon Vouet, nella Tentazione di san Francesco è «un inferno di sensi», altro che il santo denutrito che si ciba di tozzi di pane e beve acqua di sorgente. E ancora (sempre ancora in una escavazione sgarbiana ostinata e in offerta): Gherardo delle Notti, l'inventore della lampadina!

Anche Andrea Sacchi, il pittore più «impenetrabile» a Caravaggio. Quella pittura così castigata, solenne, di figure austere come nel Castello degli Spiriti Magni, come composizioni morte, o nature morte quando il pennello di Sacchi «sembra intinto nella cenere», così lontano dal pittore (Caravaggio, sempre Lui, non Re Sole, ma Re delle Tenebre) che «ha fatto cadere il cielo»: quasi a rimischiare Tolomeo e Copernico. Ancora Sacchi che fa una «pittura della teologia» di contro Velázquez che, in Las Meniñas, fa «una teologia della pittura».

E poi il Baciccio (bulimia del Barocco); Amorosi (che anticipa Bueno e Botero); il Morazzone («è un visionario»). E dunque Tanzio da Varallo e la bellezza dei suoi ragazzi. David con la testa di Golia: «È il più bel David della storia della pittura (e anche della scultura)?». Con Tanzio Sgarbi ci riconduce al Sacro monte di Varallo. Ci fa rivivere d'amore e delirio con l'occhio infilato nelle cappelle colme di figure di cera, legno, gesso... Ci porta per mano in uno dei grandi Famedi italiani.

E ancora, sempre ancora: il Cairo con «uomini sfiniti da un desiderio struggente, affannati e sul punto di perdere i sensi». E il Lucchese scoperto a Brescia?; e il Ceruti, lo Strozzi; il Genovesino. Né Sgarbi ha timore di dire che Jusepe de Ribera, «pittore di materia, di densità, di nervi tesi», è oltre Caravaggio, tanto da entrare nella «luce». Cosa accade?, viene da chiedersi. A Caravaggio, come a Luigi XVI, si può tagliare la testa? No, non si può: è la risposta. Bisogna arrivare fino in fondo a Tiepolo, a quei cieli lì. Della Serenissima e serenissimi. E mai dimenticare che a ogni pagina, come per ogni dipinto, fuoriesce la maraviglia.

Questa è l'Italia.

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