Cultura e Spettacoli

Il nuovo GF? Sembra l'ufficio di collocamento

Finito il tempo di palestrati e bellone. Precari, laureati a spasso, licenziati, cassintegrati hanno invaso i casting. Più che la fama, fa gola il montepremi

Il nuovo GF? Sembra l'ufficio di collocamento

Sarà la fatalità del numero. Ma l'edizione numero 13 del Grande Fratello - da lunedì 3 marzo nuovamente su Canale 5, dopo quasi due anni d'assenza, condotto da Alessia Marcuzzi - segna un mutamento, nella storia del primo, più amato e più odiato fra i reality show. Non sarà tanto la resurrezione a tempo di record della «casa» (milleseicento metri quadri distrutti da un incendio a Cinecittà, e ricostruiti in due mesi), né la novità d'un tandem di opinionisti al posto di Alfonso Signorini (presumibilmente sostituito da Barbara Palombelli e Costantino Della Gherardesca), né il ritorno in sé d'un programma più volte dato per spacciato (e stavolta caratterizzato da una struttura maggiormente multimediale) a fare la differenza.
È la sostanza vera del GF, a essere già cambiata. I suoi concorrenti. Anche sul simbolo stesso del disimpegno e del vuoto televisivo, infatti, è calata la scure della crisi. «Fino alla dodicesima edizione - racconta Fausto Enni, da otto anni autore del programma, e ogni volta impegnato nel suo laboriosissimo casting - ai provini si presentavano aspiranti dalle caratteristiche precise. In gran parte palestrati e bellone, molto concentrati sul loro aspetto esteriore, molto attratti dalla sirena dello show business». Ora, invece, stando alle risposte dei 35mila provinati in sette mesi da 18 scouters sguinzagliati in tutta Italia, «ciò che attrae soprattutto è il montepremi finale di 350mila euro. Il GF ha sempre fornito, nel bene e nel male, una “fotografia” del Paese. E le difficoltà economiche spingono oggi a bussare alla celebre casa personaggi spesso differenti da quelli del passato. Precari impegnati in lavoretti temporanei; laureati in cerca d'impiego; studenti che avevano giocato la carta dell'estero e che ne sono tornati a mani vuote; licenziati o cassintegrati che giocano l'ultima, drammatica carta».

Perfino quelli che sognavano di rifugiarsi nel virtuale isolamento del programma «per dimostrare ad amici e parenti, oltre che a se stessi, di poter sopravvivere in un ambiente disagevole» sarebbero in minoranza. «Oggi, al contrario, alcuni sognano quell'ambiente come un rifugio, come un distacco - artificioso finché si vuole, ma concreto - da una realtà che è troppo dura, troppo amara da sostenere». L'età media rimane quella di sempre, 30-35; il titolo di studio invece, significativamente, s'è alzato. «Ai provini si presentano anche signori dal profilo professionale molto alto. Per noi è quasi imbarazzante. Verrebbe da chiedere loro “ma perché è venuto qui?”. Il che, non per fare della sociologia spicciola, è anch'esso indicativo». E il miraggio della fama catodica, guadagnato senza titoli di merito? «Quello funziona ancora, certo. La notorietà raggiunta da personaggi come Pietro Taricone, Luca Argentero, Flavio Montrucchio o Eleonora Daniele - che i loro meriti li hanno dimostrati dopo, e non prima - continua ancora a fare da leva. Ma molto meno di una volta». Sfida l'immaginazione del più estroso degli umoristi, invece, il catalogo delle bizzarrie manifestate da alcuni provinati. «Ci sono quelli che praticano mestieri perlomeno inconsueti, il pescatore di telline, il parrucchiere per gatti, e quelli che fingono di praticarli, soltanto per attirare l'attenzione, vedi il signore che si spacciava per custode di cimitero e la ragazza sedicente pornostar. Ci sono quelli che ingenuamente si riciclano nelle categorie su cui, in passato, s'era appuntata l'attenzione dei giornali: così abbiamo avuto legioni di finti principi, finti gigolò, finti gay. E quelli che spudoratamente mentono sulla propria preparazione culturale, vantando lauree inesistenti». Per arrivare, infine, al caso umano: «Non dovrei dirlo, ma qualche volta mi sono trovato anche a consigliare ragazzi che avrebbero potuto essere miei figli, e il cui equilibrio sarebbe stato messo a troppa dura prova dal programma, di tornarsene a casa. A studiare, magari». Ma aldilà di mitomani e cialtroni, per gli autori del programma il concorrente ideale rimane «la persona comune. Non conta tanto che sia un personaggio in sé, ma che l'alchimia che si produce fra lui e gli altri, una volta che il gruppo viene messo assieme, come i diversi ingredienti di una nuova ricetta dia luogo a un sapore nuovo. Magari insolito.

Ma intrigante».

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