Cultura e Spettacoli

"Odio raccontare storie. Il mio linguaggio deve entrare nella carne"

Un uomo-salsiccia stupra una ragazza vegetariana: un romanzo surreale e violento

"Odio raccontare storie. Il mio linguaggio deve entrare nella carne"

Peach («pesca») è una ragazza vegetariana. Una sera viene stuprata da Lincoln, un uomo fatto di salsicce. Peach non dice niente a nessuno. Si tiene il suo segreto dentro; e dentro di lei cresce qualcosa di mostruoso, la sua pancia si gonfia, mentre è perseguitata da Lincoln. Vede ovunque la sua bocca spalancata, l'odore nauseabondo di carne cruda le intasa le narici, strisce disgustose di grasso inseguono i suoi passi. Alla fine Peach cucinerà Lincoln al barbecue, e lo mangerà con la famiglia e gli amici. Questo è La carne di Emma Glass, (quasi) trentunenne scrittrice del Galles, che vive a Londra e fa l'infermiera pediatrica: il suo esordio, elogiato da George Saunders, pubblicato in Gran Bretagna a gennaio col titolo Peach, e ora in Italia da il Saggiatore (pagg. 118, euro 17). Emma Glass è a Milano, dove presenterà il libro domani, in occasione di Bookpride. «Mi piace la copertina dell'edizione italiana» dice, spiegando che quella inglese è più neutra, mentre quella americana è tutta nera. «Mi fa piacere, perché il romanzo può essere letto in modi diversi».

In che modi si può leggere?

«A un livello primario c'è una ragazza che viene aggredita e, come reazione al trauma, inizia a fantasticare, a vedere intorno a sé il fratello che si scioglie come gelatina, il fidanzato Green al quale crescono dei rami... Poi la sua pancia cresce e ha un aborto».

Oppure?

«Oppure ci sono un frutto, una pesca appunto, e una salsiccia, con qualità umane; e non il contrario. E quello che succede, succede letteralmente. E alla fine la pesca si disintegra».

Quale versione preferisce?

«I lettori inglesi sono più inclini a credere che si tratti di metafore. Io invece propendo per l'altra».

Cioè racconta di una pesca e di una salsiccia?

«Ho sempre avuto difficoltà a rispettare le regole di scrittura. All'Università, quando studiavo Letteratura inglese ti facevano analizzare tutto, interpretare ogni metafora. Io invece volevo scrivere di sentimenti».

Che cosa leggeva?

«Leggevo molto l'Ulisse di Joyce, le poesie astratte di Gertrude Stein. E poi Lunar Park di Bret Easton Ellis, dove c'è molto flusso di coscienza e ci sono queste situazioni fantastiche; però lui crede nella verità di queste impossibilità, perciò l'ho adorato. Questa per me è la creatività, non le storie».

È l'era dello storytelling. Non le interessano le storie?

«Non sono mai stata interessata a scrivere una storia. E al corso di scrittura ti insegnano solo quello, come sviluppare la trama, i personaggi...Per me il focus è il linguaggio: parole brevi, frasi tronche, così la storia ha iniziato a emergere. Con la voce di Peach».

E poi?

«Poi mi sono lasciata trascinare dal suo stato di angoscia che, credo, rifletta la mia angoscia di allora. Anche se la storia non è autobiografica, all'epoca ero molto autocritica, frustrata e arrabbiata. Mi sono trovata ad andare in fondo a questa esperienza di trauma e a vedere come si potesse uscirne. Sono interessata alle idee e alle emozioni allo stato più puro e crudo».

Peach è vegetariana, anche lei?

«Lo ero, quando ho iniziato il libro, quasi dieci anni fa. Qualcuno le aveva fatto qualcosa di terrificante e io volevo che fosse qualcosa di detestabile: per me allora era la carne, e le salsicce in particolare. Che oggi adoro».

Quindi il male è una salsiccia.

«Non riuscivo a indirizzare tutto quell'odio contro un uomo, un essere umano. Ma volevo renderlo il più vivido e credibile possibile: qualcosa che si potesse odorare, sentire, toccare, guardare, per descrivere l'odio con le parole più precise possibili. Ho cercato anche di descrivere il mondo intorno a Peach in modo tangibile».

Perché?

«Se il linguaggio è così realistico, allora l'esperienza non è solo quella di leggere, ma di sentire: c'è una risposta di tipo fisico. Ho sempre amato la musica e la poesia, in Galles abbiamo un modo di parlare molto lirico: l'allitterazione è qualcosa di naturale. Ho capito soltanto dopo la violenza di quello che avevo scritto. E mi ha sconvolto».

Mentre scriveva non se ne era accorta?

«Ero troppo immersa nel flusso delle parole. Leggevo e rileggevo ad alta voce ogni frase, ogni riga che scrivevo, perché io devo sentire il suono delle parole. Così non avevo percepito l'orrore. Mi ci è voluto del tempo per sentirmi a mio agio con la storia che avevo scritto. Mi sono chiesta: che cosa c'è di sbagliato in me, che ho creato questa storia?»

Si è risposta?

«Ho una famiglia affettuosa e sportiva, un fidanzato affettuoso e sportivo, un lavoro stabile, utile, che mi piace tantissimo, in mezzo ai bambini. È stato come vedere una versione molto oscura di me stessa, in un libro. Un po' terrificante. Anche se in effetti mi hanno sempre affascinato i film di paura, i thriller, le storie di fantasmi...».

La paura è centrale nel romanzo.

«La paura in silenzio: sono le due cose più importanti. La paura, in una versione estrema, perché volevo che fosse giustificata la vendetta finale; anche se poi la storia è triste, e Peach non ottiene alcuna vittoria. E il silenzio, perché certe persone non parlano. Il che non significa che non sentano».

E poi c'è l'odio.

«Odiare è una delle cose peggiori che si possano fare. Dentro Peach cresce tutto quest'odio, ma poi alla fine è solo... un nocciolo di pesca. La mancanza di ogni speranza. L'odio è il carburante che la spinge alla vendetta, ma poi non le dà alcuna consolazione. Non c'è speranza».

Parla del finale del libro?

«Ma certo, non ho scritto un giallo...»

Perché finisce così male?

«Per due motivi. Innanzitutto non volevo che i lettori fossero soddisfatti, che si lasciassero il libro alle spalle senza pensarci più. E poi non c'era altra soluzione. Peach era così distrutta, torturata, che non c'era modo per lei di continuare. Certe vittime non guariscono mai dal trauma: per Peach è così».

Il prossimo libro?

«Non ci sarà una Peach parte seconda, visto che muore. Sarà un romanzo più lungo di questo, sarà ancora qualcosa che faccia sentire alle persone, probabilmente qualcosa di cupo. Sono affascinata da una storia di fantasmi in chiave contemporanea... Sono già a buon punto.

Anche se scrivere mi costa molta fatica, perché metto così tanto di me, nella pagina».

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