Cultura e Spettacoli

Da Omero fino a Woolf e Joyce: il vero romanziere sente le voci

Il saggio di Charles Fernyhough spiega come il dialogo interiore sia alla base della creatività e della scrittura

Da Omero fino a Woolf e Joyce: il vero romanziere sente le voci

«Ecco sì, mi metto a scrivere il pezzo, vediamo da dove partire». Quella che avete sentito è la mia voce interiore. Probabilmente ne avete una anche voi. Interviene in una sorta di dialogo cerebrale, quando avete bisogno di concentrarvi, di stare attenti, di auto biasimarvi... Sul perché praticamente tutti gli esseri umani parlino da soli le neuroscienze si interrogano da un bel po'. Il giornalista scientifico Charles Fernyhough, probabilmente dopo che il suo cervello ne ha «discusso» abbastanza, ha deciso di dedicare un libro al tema. Si intitola: Le voci dentro, storia del dialogo interiore (Cortina, pagg. 288, euro 24). La parte scientifica in cui Fernyhough spiega il funzionamento delle «voci» che abbiamo dentro - sia nei casi in cui questo dialogo è normale e salutare, sia nei casi in cui queste voci diventino aliene o moleste - è molto interessante.

Ma forse lo è di più la parte in cui mette in luce il rapporto tra queste voci interiori e la letteratura. Perché, in effetti, come dimostra l'autore, da un lato gli scrittori si sono occupati di mettere su carta il dialogo interiore ben prima di scienziati e psichiatri, dall'altro sono la prova provata che il dialogo interiore è alla base della creatività.

Ovvio quindi che ci siano molte pagine dedicate all'Ulisse di Joyce o alle lettere e agli appunti di Virginia Woolf. I due scrittori sono stati infatti i primi a mettere direttamente su pagina il flusso di pensieri e farne arte. Anzi la Woolf ci regala una serie di scritti privati in cui è questa sorta di voce interiore a dirle come organizzare i suoi futuri romanzi. E il processo creativo non è molto diverso da quello che Vincent van Gogh descrive nelle lettere al fratello Theo. Ogni lettera racconta la preparazione di un quadro e si capisce benissimo che van Gogh lascia parlare nelle missive la sua voce interiore, quella che lo sprona a organizzare il quadro in un certo modo. Esperimenti incentrati sui bambini dimostrano che la loro voce interiore, magari mutuata da quella di mamma o papà, si comporta proprio come quella di van Gogh.

Ma Fernyhough si è spinto anche più in là. La letteratura ci aiuta a capire che mentre per noi ormai è quasi sempre chiaro - tranne casi di forte stress emotivo o fisico - che le «voci» che sentiamo nella nostra testa sono le «voci» della nostra personalità, del nostro super Io e del nostro Io che battibeccano, se volessimo usare dei termini freudiani un po' desueti, per gli antichi questa situazione era molto meno chiara. E qui, ad esempio, entrano in campo le molte pagine dedicate al daímon, il «genio» con cui parlava Socrate, il più famoso ascoltatore di voci dell'antichità. Ancora nell'Atene del quarto secolo era abbastanza comune che una voce interiore fosse facilmente identificata come una voce divina.

E entrano in gioco anche l'Iliade e l'Odissea. I due libri, ce lo dicono i filologi, sono stati redatti in momenti diversi, l'Iliade è sicuramente più antica di qualche secolo. Ecco, le voci interiori dei personaggi sono raccontate diversamente. Nell'Iliade le voci interiori sono quasi sempre divine, nell'Odissea Ulisse passa un sacco di tempo a parlare con se stesso e lo sa. Lo psicologo Julian Jaynes negli anni Settanta arrivò a teorizzare che all'epoca dell'Iliade la mente umana fosse ancora «bicamerale». Ovvero nei momenti di sfida cognitiva, in quell'epoca, la maggior parte degli uomini avrebbe percepito una voce interiore come aliena alla propria identità. Qualche secolo dopo il dialogo interiore era già diventato un meccanismo cerebrale meno inconscio e più comprensibile. Una tesi forse esagerata, che nel tempo è stata ammorbidita. Del resto voci divine hanno continuato a visitare gli uomini anche molto dopo. L'esploratore polare e scrittore Ernest Henry Shackleton (1874-1922), autore di uno dei salvataggi più spettacolosi della storia, quello dell'equipaggio dell'«Endurance», sosteneva nei suoi diari di essere stato guidato durante tutta l'operazione da una voce, da una presenza grande e benigna.

Ma di sicuro dialogo interiore e letteratura si incontrano anche in un altro modo. Fernyhough racconta come la lettura stessa sia possibile in quanto dialogo interiore, almeno a partire da Sant'Ambrogio in poi (e forse da prima). I libri nella nostra testa diventano voci. Spesso le voci migliori. Quanto abbiano cambiato lo stesso funzionamento del cervello umano non è ancora dato capire.

Ed è un tema tutto da studiare.

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