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Oriana e la passione: "L'amore è un suicidio della propria libertà"

Nel decennale della morte, un'ampia raccolta di testi autobiografici della Fallaci. Con inediti

Oriana e la passione: "L'amore è un suicidio della propria libertà"

Non capisco il potere, il meccanismo per cui un uomo o una donna si sentono investiti o vengono investiti del diritto di comandare sugli altri e punirli se non ubbidiscono. Sia che venga da un sovrano dispotico che da un presidente eletto, da un generale assassino che da un leader amato, il potere io lo vedo come un fenomeno disumano e odioso. Mi sbaglierò ma il paradiso terrestre non finì il giorno in cui Adamo ed Eva furono informati da Dio che d'ora innanzi avrebbero lavorato nel sudore e partorito nel dolore. Finì il giorno in cui s'accorsero d'avere un padrone che gli impediva di mangiare una mela e, cacciati per una mela, si misero alla testa d'una tribù dove si proibiva perfino di mangiar la carne di venerdì. D'accordo: per vivere in gruppo ci vuole un'autorità che governi, altrimenti è il caos. Ma il lato più tragico della condizione umana a me sembra proprio l'avere bisogno di un'autorità che governi, di un capo. Non si sa mai dove incomincia e finisce il potere di un capo: l'unica cosa sicura è che non puoi controllarlo e che fucila la tua libertà. Peggio: è la dimostrazione più amara che la libertà in assoluto non esiste, non è mai esistita, non può esistere. Anche se bisogna comportarsi come se esistesse e cercarla. Costi il prezzo che costi.

Se potessimo contare tutte le creature che nel corso dei secoli si sono fatte straziare e ammazzare per la libertà, ci accorgeremmo che nessun altro concetto è costato tanti fiumi di lacrime e sangue. E se potessimo incollare insieme tutti i pezzi di carta su cui è stata scritta o stampata la parola «libertà», ne otterremmo un foglio dentro cui impacchettare la Terra. Non v'è poeta che non abbia cantato la libertà, non v'è filosofo che non abbia riflettuto a fondo sulla libertà, non v'è storico che non ne abbia narrato le vittorie e le sconfitte: sulla libertà possediamo versi memorabili, pagine indimenticabili. Eppure non esiste una definizione universalmente accettata della libertà e continuiamo a chiederci che cosa sia, in che cosa consista. Io per prima. Sono stata educata nel culto della libertà, ho imparato da bambina ad amare coloro che la difendono e a odiare coloro che la opprimono, non scrivo mai un libro o un reportage o una lecture che non tocchi il tema della libertà, e quando mi viene chiesto di riassumerne il significato con poche parole vengo presa dal panico.

Forse questo accade perché, come tutti i concetti assoluti, il concetto di libertà è una somma di idee non riconducibili a una singola idea, è un mosaico di interpretazioni, quindi contraddizioni implicite. Forse perché, più che un concetto, la libertà è un sentimento e razionalizzare un sentimento è impossibile. O forse semplicemente perché la paura di cadere nella trappola della retorica quindi della menzogna ci frena, pensa alla libertà cui ci si riferisce con maggior frequenza cioè la libertà politica, la libertà intesa come diritto e dovere del cittadino. Ho visto libertà ferite, anzi assassinate, in nome di quella libertà. Ho visto apostoli della libertà trasformarsi in carnefici della libertà, in nome di quella libertà. Ho visto promuovere e fare guerre ingiuste, rivoluzioni false, in nome di quella libertà. Ho visto compiere crimini orrendi e massacri mostruosi in nome di quella libertà, al grido di viva-la-libertà, patria-e-libertà, indipendenza-e-libertà, uguaglianza-e-libertà, giustizia-elibertà. Del resto la Storia ci insegna che ovunque, in ogni tempo e sotto ogni bandiera, coloro che si battono contro i tiranni possono diventare a loro volta tiranni. I peggiori tiranni.

Oppure pensa alla libertà individuale cioè alla libertà che cerchi nei rapporti personali, nella vita privata. Nei suoi Pensieri Lacordaire definisce questa libertà «il diritto di fare ciò che non danneggia gli altri». Ed è giusto. Però resta il fatto che l'esercizio della propria libertà finisce sempre o quasi sempre col danneggiare o turbare o limitare la libertà degli altri. Se fumo una sigaretta dinanzi a te che non ne sopporti nemmeno l'odore, esercito la mia libertà ma danneggio o turbo o limito la tua; se mi proibisci o mi chiedi di non fumare quella sigaretta, danneggi o turbi o limiti la mia. Se stando a letto con te tengo accesa una lampada che non ti lascia dormire, esercito una mia libertà ma danneggio o turbo o limito la tua; se spengi quella lampada, eserciti una tua libertà ma danneggi o turbi o limiti la mia. E il discorso non cambia se mi impedisco di fumare o di tenere quella lampada accesa perché voglio compiacerti, perché ti amo. Semmai dimostra che niente come l'amore incatena la libertà individuale: sia esso l'amore materno, o l'amore filiale, o l'amore per un uomo, una donna, un cane. Ama davvero qualcuno e vedrai che la tua libertà si blocca più di una nave ancorata. L'amore è un suicidio della propria libertà. È la prova più inconfutabile che la libertà vera, la libertà pura, non esiste. E come potrebbe visto che non abbiamo neanche la libertà di scegliere se vogliamo o non vogliamo nascere, visto che ogni nostra scelta dipende da quella scelta cioè una scelta che qualcun altro ha fatto per noi?

La libertà vera, la libertà pura, esiste soltanto nel sogno. La libertà è un sogno. Per rincorrere quel sogno, catturarne almeno l'ombra, materializzarne almeno il riflesso, ci si batte e ci si strazia e si muore. Però guai a non rincorrerlo, guai a stancarsene, a rinunciarvi pensando che è vano inseguire ciò che non esiste. Senza questo sogno perfino l'intelligenza si estingue, e la capacità di creare, di distinguere il buono dal cattivo, il bello dal brutto. E la parola dignità perde ogni significato, la vita si riduce a un processo fisico logico e affine a sé stesso: mangiare bere dormire procreare morire. Si nasce schiavi, d'accordo. Ma non so immaginare nulla di più stupido, di più squallido, di più tragico d'uno schiavo che si rassegna ad essere schiavo perché nacque schiavo.

Il più bel monumento alla dignità umana per me resta quello che vidi su una collina del Peloponneso, insieme al mio compagno Alessandro Panagulis, il giorno in cui egli mi condusse da alcuni resistenti, ed era l'estate del 1973, Papadopoulos era ancora al potere. Non si trattava di un simulacro, e nemmeno di una bandiera, ma di tre lettere, OXI, che in greco significan NO. Uomini assetati di libertà le avevano scritte tra gli alberi durante l'occupazione nazifascista e, per trent'anni, quel NO era rimasto lì: senza sbiadirsi alla pioggia ed al sole. Poi i colonnelli lo avevan fatto cancellare con una mano di calce. Ma subito, quasi per sortilegio, la pioggia e il sole avevan sciolto la calce.

Sicché giorno per giorno le tre lettere riaffioravano testarde, disperate, indelebili.

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