Cultura e Spettacoli

Un padre violento è l'incubo di un bimbo

Xavier Legrand narra con maestria la ferocia che si nasconde in un divorzio

Un padre violento è l'incubo di un bimbo

da Venezia

Lei è uno scricciolo, lui una specie di orso e si capisce come la paura fisica sia figlia di quella psicologica: non nasce dalla sola violenza, si nutre anche della minaccia. Myriam alla fine è riuscita a divorziare da Antoine Besson, ma vorrebbe l'affido del piccolo Julien, che del padre ha paura: per quello che ha già fatto alla madre, per quello che con la voce, con lo sguardo, con l'esibizione della sua forza fa capire potrebbe fare a lui. È stato un padre padrone, Antoine Besson, sospettoso e collerico, invadente e ossessivo, uno a cui si doveva dire sempre di sì... Davanti al giudice chiamato a decidere sulla custodia la coppia ha anche un'altra figlia, diciottenne, che ha già detto di non voler vedere il padre nemmeno in fotografia- Antoine però tiene il profilo basso di chi pensa che l'importante sia il benessere del bambino: la grande, dice, un domani capirà, e tornerà da lui.. Così, ha accettato un nuovo posto di lavoro pur di poter stare vicino a dove ora Julien vive con la mamma, non fa resistenza sull'assegno divorzile, e lei del resto non lavora, ci sono le testimonianze di amici e colleghi sul suo buon carattere, sulla sua disponibilità e sensibilità... Certo, le deposizioni del bambino, raccontano un'altra storia, ma, si sa, a quell'età si è tanto sensibili quanto influenzabili, dietro di esse ci può essere lo zampino della madre, dei nonni materni di cui mamma e figlio adesso sono ospiti, e insomma, pensa il magistrato, che pure è una donna, una chance a questo povero orso smarrito e pentito bisogna pur darla. In fondo, potrebbe anche essere uno di quei nuovi padri disprezzati e umiliati dalla ex moglie, vittime di quell'ansia di cambiamento più femminile che maschile. Affido congiunto, è la decisione, con il fine settimana alternato. Il problema è che Julien teme suo padre. E ha ragione.

Jusqu'à la garde, di Xavier Legrand, ieri in concorso, mostra come si possa fare un buon thriller senza lo splatter di orrori e sangue a spiovere. Affida al fisico massiccio di Denis Ménochet il compito di raccontare una psiche rimasta infantile nel suo non voler intendere altra ragione che la propria, il suo senso del possesso, l'essere lui a decidere cosa sia bene e cosa sia male. Affida al piccolo Thomas Gioria, biondo e delicato, e alla fragile Léa Drucker quello di trasmettere l'esatto opposto, l'affetto che si costruisce con la reciproca comprensione. Mette al loro servizio una sceneggiatura essenziale nella sua veridicità, perché sguardi, atteggiamenti e parole bastano a raccontare ciò che c'è dietro di essi, a far capire l'abisso distruttivo che li potrebbe inghiottire.

Registra teatrale, al suo esordio nel lungometraggio, ma già candidato all'Oscar due anni fa per Avant que de tout perdre, Xavier Legrand è l'ultima gradita sorpresa di questa Mostra. «L'affidamento dei figli, dopo un divorzio dice- è una realtà condivisa da migliaia di persone. Io ho cercato, mostrando quelle che apparentemente sembrano essere vicissitudini di ordinaria amministrazione, di rivelare le violenze sotterranee, le paure taciute, le minacce sommesse.

Più che trattare la separazione dei coniugi Besson come il tema centrale di un dramma sociale e familiare, volevo realizzare un film politico, un film di guerra, forse addirittura un film horror».

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