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Patate, patacche e "fake". Ecco a voi la vera storia dell'oscuro Sarchiapone

Tatti Sanguineti porta in scena genesi, aneddoti e derive «pop» del celebre sketch di Walter Chiari

Patate, patacche e "fake". Ecco a voi la vera storia dell'oscuro Sarchiapone

Dire che cosa sia il Sarchiapone - lo sanno tutti - è facilissimo. Chi non sa cos'è un Sarchiapone? Il Sarchiapone è... È un animale, un animaletto, un Diavolo - sì, un diavoletto: è il Razzuello napoletano - è un mostriciattolo che mangia le dita ai bambini. Il Sarchiapone è un oggetto di gomma, è un salvagente a forma di papera, è una persona goffa e credulona (a cui far credere che esiste il Sarchiapone). È un tormentone per cervelli annoiati, è una patata con i bottoni come occhi e un ciuffo d'erba in testa (oggi li vendono su Internet)... Ecco cos'è il Sarchiapone! È una patacca! Uno scherzo, un bluff... Oggi si dice «fake».

Si dice che la leggendaria scenetta del «Sarchiapone» interpretata da Walter Chiari, assieme alla fidatissima spalla Carlo Campanini, poi riproposta e dilatata a dismisura in molte occasioni, sia un passaggio obbligato del genere comico. Renzo Arbore sostiene che se esistesse una Scuola per comici e umoristi, il Sarchiapone dovrebbe essere il tema della prima lezione. Senza conoscere le regole del Sarchiapone - improvvisazione, smorfie, giochi linguistici e commedia degli equivoci - sul palco non vai da nessuna parte.

Che sul palco il Sarchiapone, di qualsiasi cosa si tratti, sia una sicurezza, è noto. Almeno da quando Walter Chiari lo mise al centro del suo sketch più celebre e più citato. Meno noto, però, è da dove arrivi esattamente il Sarchiapone.

Ma chi sa tutto dei Sarchiaponi, chi davvero può narrare genesi, aneddoti, varianti, mitizzazioni e usi impropri del Sarchiapone, è Tatti Sanguineti, critico cinematografico da Oscar alla carriera, conoscitore immenso di ogni piccola piega della storia del nostro cinema, biografo e grande amico di Walter Chari. Sarà lui, questa sera, all'interno del XX Festival del Cinema europeo di Lecce, a tenere una lectio-show su «Walter Chiari e la Puglia» con racconti, filmati inediti (come un video pirata e rarissimo del Finale di partita da Samuel Beckett con Renato Rascel e Walter Chiari, Teatro Variety, Firenze 1986) e altre perle di spettacolo e comicità. In scena, accanto all'inesauribile Tatti Sanguineti, anche Alfredo Traversa nella doppia veste di regista del docu-film sulle origini grottagliesi di Walter Chiari Il complesso di Walter e, soprattutto, di straordinario spacciatore di Sarchiaponi.

E rieccoci, al Sarchiapone. Creatura indefinibile, invisibile ma pericolosa, che rimane chiusa dentro la gabbia portata in treno dal passeggero impersonato da Campanini mentre Walter Chiari ne parla come se ne fosse esperto, in realtà animale inesistente, puro pretesto inventato dal suo possessore per far scappare tutti dal vagone e poter dormire in santa pace, il Sarchiapone è una squisita metafora. Anzi, due. Metafora antropologica della pretesa, tutta italiana, di parlare con assoluta convinzione di cose che in realtà non si conoscono affatto (quanti discorsi sul Sarchiapone si sentono ancora oggi nei talk show...). E metafora linguistico-filosofica di tutto ciò che è inconoscibile.

In effetti, l'origine del Sarchiapone è inconoscibile. Dopo aver fatto capolino nella rivista (Oh quante belle figlie Madama Doré, del 1956), le cronache televisive riferiscono che il Sarchiapone diventa noto con lo sketch - oggi storico - di Walter Chiari e Campanini nel programma Rai La via del successo, puntata del 9 febbraio 1958. E poi torna acclamatissimo nel 1973, durante il varietà di Antonello Falqui L'appuntamento, che Chiari conduce assieme a Ornella Vanoni, la quale prende parte alla gag (durata 14 minuti, si trova su Youtube). Ma Sanguineti, entrato in possesso della sceneggiatura originale del numero comico che poi conoscerà infinite declinazioni («Eccola qui la Ur-Sark! Il primo testo sul Sarchiapone depositato alla Siae») è convinto che l'invenzione della scena risalga agli anni 1954-55. A scriverla è sicuramente Italo Terzoli, sceneggiatore destinato a diventare con Enrico Vaime uno dei più prolifici autori di teatro e varietà fra gli anni '60 e '70, al quale Walter Chiari racconta una storia, pur dai contorni indefiniti. E cioè quella dello stesso Chiari che su una spiaggia di Fregene vede un napoletano vendere quelle palline sintetiche senza peso, sospese in una gabbietta, pronte a volare soffiandoci dentro come quelle che stanno nei fischietti degli arbitri: «Venite, comprate il Sarchiapone», grida il venditore ambulante. Chiari, stupefatto, sente le mamme e i bambini dirsi l'un l'altro «Sai che io c'ho il Sarchiapone», «Eh ce l'ho anch'io», «Io pure. Vuoi che non sappia cos'è il Sarchiapone», e lo sciòc diventa sketch...

E da lì, attraverso la fantasia di Chiari e la scrittura di Terzoli, tutti ben presto sapranno che cos'è il Sarchiapone. O almeno: dicono di saperlo.

Il Sarchiapone divenne un numero comico di scuola, poi un successo tivù, i dizionari lo hanno lemmatizzato, le pizzerie adottato (Ristorante-pizzeria Il Sarchiapone, forno a legna, chiuso il lunedì), la zoologia fantastica lo ha tassonomizzato e il disegnatore Alfonso Artioli nel 1964 addirittura s'inventò una Sarchiapone story a fumetti per il settimanale umoristico Il Travaso...

«In realtà - è l'idea di Tatti Sanguineti, filologo inappuntabile del comico italiano - Walter Chiari in quegli anni doveva venire fuori dal ghetto dove certa intellighenzia paleostalinista italiana l'aveva confinato, in quanto marò della Decima MAS - tutti i comici sopra la Gotica erano fascisti.... - e inoltre capiva che doveva contrastare il successo montante di Alberto Sordi, sfruttando la moda della americanità nella società italiana: Un americano a Roma è del 1954... E così tirò fuori dal suo immenso talento il Sarchiapone. O meglio: il Sarchiapone americano...».

Sarà vero? Sarà falso?

Sarà un Sarchiapone. Che è tutto e niente. Una cosa che nessuno ha visto ma di cui tutti parlano. Il Sarchiapone è un trucco, è un termine antico, una parola napoletana, ma di origini pugliesi... È una «macchinetta» si diceva allora. Una matrice. Oggi si direbbe un format.

Comunque, c'è da dire, di successo.

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