Cultura e Spettacoli

La pittura digitale? Come «La pelle»

Il belga Tuymans si ispira a Malaparte: «Bisogna porsi domande»

Francesca Amé

da Venezia

«Per questa mostra volevo un titolo italiano e avevo in testa da tempo Curzio Malaparte, un megalomane con un percorso interessante»: Luc Tuymans, artista di origine belga tra i più corteggiati dal mercato e considerato il campione del nuovo Rinascimento pittorico, spiega così La Pelle, la sua prima personale in Italia, ispirata al celebre romanzo di Malaparte. Siamo a Palazzo Grassi dove la Pinault Collection, come da tradizione alla vigilia della Biennale, detta la linea sullo stato dell'arte. E se due anni fa fu l'immaginifica «caccia al tesoro» di Damien Hirst a prendersi la scena, oggi è la «pittura digitale» ovvero sfuocata, opaca e, sì, anche apparentemente banale, di Tuymans a porre nuovi interrogativi. «Bisogna sospettare sempre, e porsi domande. La pittura ha molto a che vedere con la diffidenza nei confronti delle immagini: è un altro molto di contemplare il mondo», spiega l'artista che, con Caroline Bourgeois, è curatore dell'esposizione (fino al 6 gennaio 2020).

«Con l'anacronistica pittura si possono fare molte più cose di quanto immaginate, è come il Deep Web, una costellazione oscura», continua. Tuymans sceglie come compagno di strada Malaparte perché dice - l'ambiguità e la banalità del male sono temi ricorrenti nell'ottantina di lavori selezionati, realizzati tra il 1986 e oggi. I migliori sono i quadri di piccolo formato (come l'inquietante Body, realizzato con una particolare vernice che muta con il passare del tempo), talvolta accompagnati da titoli roboanti. Niente didascalie, però: «Non ho voluto testi sui muri: ne ho orrore. Mai sottovalutare il pubblico». Un esaustivo libretto-guida, distribuito all'ingresso, si rivelerà essenziale: la sua pittura, in apparenza senza sforzo, è talvolta di disarmante complessità. Prendiamo il primo quadro in mostra, Secrets: il volto impenetrabile dell'uomo ritratto appartiene ad Albert Speer, architetto capo del Partito Nazista. L'inquadratura è stretta, come in una fototessera. Dal mezzanino, Speer pare tenere d'occhio l'unica opera non pittorica esposta: un ampio mosaico in marmo realizzato sul pavimento. Ha un motivo floreale ispirato ai disegni realizzati nel campo di concentramento da Alfred Kantor, prigioniero poi sopravvissuto. È un attimo, e lo spirito di Tuymans ci entra sottopelle: il percorso procede su due piani, alternando opere di argomento storico (l'Olocausto, l'11 settembre, le stragi da armi da fuoco negli Usa) a lavori intimi (un autoritratto, nature morte, paesaggi, uccelli).

È metodico Tuymans: nato nel 58, cresciuto nel buio dei cinema, appassionato fotografo, concepisce la pittura in un'unità di tempo pari alle ventiquattro ore. Lavora di getto? Non proprio: sceglie con cura l'immagine da ritrarre, la rifotografa a bassa risoluzione e poi la dipinge, colore scuro su fondo chiaro, per creare quadri volutamente sgranati e indefiniti. La pittura presenta sottopelle continui enigmi: vediamo tele con cerchi concentrici che in realtà sono occhi di piccioni, paesaggi atomici trasformati in tramonti soavi e un fondoschiena dall'aria ambigua fedelmente tratto da un manuale di medicina sulla scoliosi.

La forza della lezione di Tuymans al netto di certi eccessi estetizzanti, comunque apprezzati dal mercato - sta nell'affermare che la banalità (e la neutralità) dell'immagine non esiste.

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