Cultura e Spettacoli

Le polene di Magris Quando è il Bello a dettare una rotta

Le polene di Magris Quando è il Bello a dettare una rotta

La grandezza di un uomo di cultura è quella dote che lo obbliga, causa l'irrefrenabile attrattiva - lieta e tragica - della vita (l'immedicabile vita, come la chiamava Tommaso Landolfi), a fare un passo oltre la propria sia pur sacrosanta specialità. Einstein non era un uomo che si occupava di fisica, così come Dietrich Bonhoeffer non si occupava di teologia.

Claudio Magris, a modesto parere di chi scrive, appartiene a questa categoria. Interprete finissimo del mondo germanico, ha sempre preferito la vita reale alle sue interpretazioni, un mondo vivo si è sempre affacciato dai suoi studi come da una finestra, e una curiosità ingenua ha sempre dominato le sue coltissime indagini, mutandole in visioni e rendendocele immediatamente familiari; infine, la sua narrativa non è esito di ambizione ma emerge come un'eccedenza che è, poi, il solo atto di legittimazione della vera letteratura. Si racconta per non morire. La letteratura è un avanzo, un residuo, ciò che non si può smaltire.

Anche testi che a tutta prima potrebbero apparire minori rivelano, letti con attenzione, una loro segreta necessità. Ne fa fede Polene (La Nave di Teseo, pagg. 190, euro 20), sorta di museo sui generis formato libro, di cui Magris ci fa da guida grazie anche a immagini sempre ben riprodotte, con puntuale apparato didascalico (lo dico perché non è sempre così).

Con Polene lo scrittore compie un passo sorprendente verso un'estetica del superfluo, che è anche tuttavia un'estetica sottrattiva, poiché a un minimo di funzionalità pratica unisce un massimo di valore estetico: un'eccedenza necessaria insomma, come già ricorda nel XIV secolo l'apocrifo Libro di Sidrach, dove il titolo di parte più bella del corpo umano è assegnato al naso, la cui assenza non sarebbe dannosa come l'assenza di una mano, ma renderebbe l'uomo assai più mostruoso.

L'argomento scelto è, anche qui, volutamente marginale. Magris, come Sidrach, ama i margini, i lembi, le brecce attraverso le quali un atto umano rivela la sua umanità proprio nel suo essere gratuito, quasi superfluo - un'eccedenza che oltrepassa la logica, i perché, le cause e gli effetti, e si presenta nella sua quasi-assurdità: ciò che gli antichi filosofi chiamarono essere, con la sua scandalosa eccedenza rispetto all'ente che lo traghetta fino a noi. Ma che potrebbe essere anche l'avamporta del caos.

Che cos'è una polena? Un occhio, innanzitutto, che guarda quello che il marinaio non può e non deve guardare: l'abisso marino, che è anche (aveva ragione Baudelaire) l'abisso del suo stesso cuore. Metonimia del Mare, dunque, e metafora dell'esistenza.

Poi l'occhio assume fattezze umane, con membra, mani braccia seni busti giacche: fattezze preferibilmente ma non esclusivamente femminili. E diviene eros - legame indistruttibile tra la nostra vita quotidiana e le forze che la oltrepassano -. Diviene però anche amore paterno e filiale. Diviene esorcismo, distacco, superiorità - perché come direbbe Pascal l'uomo è superiore a tutto ciò che lo minaccia, vittorioso su ciò che lo uccide. Le polene sono di volta in volta guardiane degli affetti, angeli del Desiderio, controllori della Paura, ispirano pensieri domestici e pudici ma anche follie d'amore, atti estremi, furti, rapimenti (di polene, sì), suicidi.

Un museo ideale deve sempre suggerire un'idea di ordine, di messa a sistema. È un gioco, questo, che a Magris piace perché a contatto con le tassonomie, le classificazioni, le mappe, i portolani si svela meglio che altrove l'irriducibilità del magma, della massa equorea che accomuna l'ordine quotidiano e la sua follia. Gran parte delle polene che stanno oggi nei musei provengono da naufragi, oppure raccontano storie sorprendenti, di amori lasciati lontano con l'augurio di rivedersi sani e salvi (non solo i mari, infatti, ma anche i porti sono un pericolo per l'uomo di mare), di amori perduti.

Scorrendo le immagini del volume, testimoni di un'arte che ha prodotto opere commoventi, talora strazianti, altre volte comiche, ma che è rimasta arte popolare, mescolata al quotidiano, plebea anche in presenza di re e regine, senza mai diventare un'arte maggiore - scorrendo, dicevo, queste immagini, sorge uno spontaneo paragone tra le polene e gli ex-voto che affollano tanti santuari. Nell'un caso come nell'altro l'ingenuità della rappresentazione, l'approssimazione tecnica ed estetica dell'artigiano riescono nel dolce miracolo di approssimare la vita di ogni giorno al mistero che la abbraccia, e di cui noi possiamo decidere se guardarlo o meno.

Ma anche se non lo guardiamo, quel mistero esiste, resiste. Possiamo modificarne i margini, non la sostanza. A volte ci si presenta come un'eccedenza non richiesta, come una parola non necessaria, o ancora come una pausa più lunga, o come uno strappo nel tessuto della conversazione. Ho il sospetto che le polene, nel pensiero di Claudio Magris, siano qualcosa di simile a questo strappo nel cuore dell'incessante racconto che il mondo fa di sé.

Quando, finalmente, il mondo tace.

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