Cultura e Spettacoli

Le prime idee dell'Ultima cena Così Leonardo progettò l'opera

Dentro il refettorio esposti i fogli preparatori del dipinto Ecco come l'artista passò dai particolari all'universale

Le prime idee dell'Ultima cena Così Leonardo progettò l'opera

C'è lo studio per san Bartolomeo, ancora senza barba, in matita rossa, e anche la sua mano sinistra. C'è il braccio destro di san Pietro con il polso ripiegato, in quella torsione apparentemente naturale, che ancora non impugna il coltello: è un grande foglio a matita nera, con ritocchi a inchiostro. Ci sono le mani posate sul tavolo, con le dita intrecciate, di san Giovanni. C'è lo studio di un piede destro (forse quello di Gesù, nella parte del dipinto distrutta nel XVII secolo per l'apertura della porta che serviva ai frati per collegare il refettorio con la cucina). C'è lo studio per san Giacomo Maggiore con schizzi di un'architettura, non ancora identificata con certezza, in matita rossa e inchiostro bruno. E c'è la mano sinistra di san Tommaso che sembra sfiorare la tovaglia...

Un capolavoro universale: l'Ultima cena di Leonardo da Vinci, dipinto tra il 1495 e 1498 sul muro dell'ex refettorio rinascimentale del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Dieci disegni provenienti da Londra, dalle Collezioni reali inglesi, datati tra il 1494 e il 1495: sette senz'altro di mano di Leonardo, due (tradizionalmente attribuiti dalla critica a Cesare da Sesto) qui assegnati al maestro toscano «in considerazione della superlativa qualità grafica», e uno riferito a Francesco Melzi. E una mostra, dal titolo calembour e dal contenuto scientifico eccezionale: Leonardo da Vinci: prime idee per l'Ultima Cena che apre oggi dentro il refettorio più famoso della storia dell'arte.

Benvenuti alla prima vera mostra che apre le celebrazioni dei cinquecento anni dalla morte Leonardo di ser Piero da Vinci, 1519-2019, e che per Milano saranno ricchissime (una mostra a Palazzo Reale, la Sala delle Asse del Castello Sforzesco restaurata, con le decorazioni leonardesche sulle pareti e sulla volta, e poi l'arrivo dai Musei Vaticani del grande arazzo dell'Ultima cena donato a Papa Clemente VII da Francesco I di Francia nel 1532). Intanto, qui, al centro del refettorio, a pochi metri dalla parete che ha il privilegio di portare su di sé una delle opere d'arte più importanti di tutti i tempi, vis-à-vis col dipinto, ecco tre piccole teche (l'allestimento, appena sussurrato, quindi perfetto, è della direttrice del Museo del Cenacolo, Chiara Rostagno) con i dieci disegni. In fondo, il punto di arrivo: il capolavoro. Davanti, le idee di partenza: i fogli preparatori. Dal particolare all'unviversale. Solo per fare un esempio: il primo disegno, 26 x 21 centimetri, porta un rapido schizzo «a penna» dell'Ultima cena dove Giuda è isolato dall'altra parte del tavolo rispetto a Gesù, come lo si rappresentava nella tradizione dei cenacoli fiorentini fino ad allora, prima che Leonardo rivoluzionasse l'impianto dell'opera disponendo tutte le figure sullo stesso lato, di fronte a chi guarda.

La mostra è piccola e per pochi (entra chi ha il biglietto per il Cenacolo, allo stesso prezzo, ma le prenotazioni sono già sold out ben oltre la fine dell'esposizione, il 13 gennaio, quindi c'è da sperare solo nei circa cento posti last minute disponibili ogni mattina) ma è gigantesca per impatto (è dal 1983 che qualcosa del genere non si vedeva a Milano) e l'occasione di studio (il catalogo, Skira, è magnifico). «Qui si capisce che Leonardo è davvero il principe del disegno: nessuno nel Rinascimento, nemmeno Michelangelo, disegna così bene: guardate il braccio di san Pietro, sembra uscire dal foglio... se fosse un po' più grande sarebbe un quadro», si eccita Pietro Marani, presidente dell'Ente Raccolta Vinciana. Ha ragione.

La bellezza universale di certe piccole idee va ben al di là dei singoli dettagli di volti e di gesti.

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