Cultura e Spettacoli

La prostituzione? È una filosofia di vita per intellettuali

Chi vende il proprio corpo è affine a chi vende la propria arte. Come sanno poeti, registi e pittori

La prostituzione? È una filosofia di vita per intellettuali

La tesi di fondo del libro è: per non mandare tutto a puttane serve capire che cosa facciamo quando andiamo a puttane. E qui, dopo appena un passo, casca l'asino, ossia il recensore. Perché ammettere di essere andati a puttane, nel senso letterale e non metaforico, non è da tutti, al contrario. Ora, noi non sappiamo se Laurent de Sutter, bel quarantenne belga con l'aria da intellettuale che infatti è (docente di Filosofia del Diritto, editore, gran conoscitore dei vari Deleuze, Lacan, Althusser e via curriculando) l'abbia mai fatto. Né c'interessa. Ciò che ci interessa è il suo saggio scritto molto alla francese, nel solco dei suoi autori di riferimento, cioè sempre con sulla punta della penna quel frisson dovuto al piacere di, come sussurrano loro, épater le bourgeois, vale a dire, volgarmente, spiegare le cose prendendo per il culo. Metafisica della puttana, uscito tre anni fa a Parigi da Léo Scheer viene proposto ora in italiano (Giometti & Antonello, pagg. 106, euro 16, traduzione di Aldo Prini).

Diciamo subito che il protagonista del libro non è la puttana, bensì un altro tipo di animale umano, troppo umano: il «merlo», dove «merlo» sta per chi si fa facilmente raggirare e catturare, il cliente. De Sutter ricorda che quando chiedevano a Charles Baudelaire che cosa fosse l'arte, lui rispondeva: «prostituzione». Il poeta, da vero francese, voleva anch'egli épater le bourgeois. Intendeva infatti dire che ogni artista desidera accalappiare prima l'attenzione e poi la moneta del pubblico.

Ma proponendo che cosa? De Sutter affida la risposta a Jean-Luc Godard e ai suoi film che in effetti somigliano alle notti lungo i viali periferici delle città negli anni Settanta e Ottanta: sono pieni di puttane. Puttane che possiedono quella cosa che fa gola a molti, costa tanto e alla fin fine non si ottiene mai in esclusiva: non, banalmente, la papussa, bensì la verità. «Nel cinema di Godard - scrive - le puttane erano il volto della verità: erano la materia viva in cui si incarnava la sua ossessione nei confronti di essa - ovvero l'ossessione per il cinema medesimo». E siccome per Godard (non soltanto per lui, ovviamente) la verità non esiste se non c'è, spiega de Sutter, «un medium che la mostri o la esprima», ecco apparecchiato il circolo non più vizioso bensì virtuoso: usare le puttane come verità e il cinema come espressione, dunque inveramento, della verità. Nel suo puttan tour, Godard è accompagnato da un grande maestro, Guy de Maupassant, il quale nel racconto Il cenno illustra come basti appunto un cenno, a una giovane donna di buona famiglia, per entrare, potrebbe dire Godard, nel mondo della verità, quel cenno che la signora fa, affacciandosi alla finestra imitando le prostitute, agli uomini che stanno nel palazzo di fronte. Un cenno come maschera, codice, linguaggio. Quindi, allegoria.

Benvenuto allora al più allegorico fra i pittori, Francisco Goya, il quale porta in dote due Capricci, il numero 7 dove un «merlo» non si rende conto di corteggiare una puttana, e il numero 21 dove una prostituta sotto forma di uccello viene spennata dai tutori della legge dopo l'arresto. La puttana che da cacciatrice diviene preda è il motivo della tragedia Lulù di Frank Wedekind, che originerà il film Il vaso di Pandora di Georg Wilhelm Pabst e l'opera Lulù di Alban Berg. Involontaria femme fatale, Lulù è posseduta dal proprio fascino come da un demone. Karl Kraus, parlando di come le autorità ne avessero vietato la rappresentazione, parlava di «morale del protettore»: lo Stato con le puttane si comporta da magnaccia, le sfrutta disprezzandole. E le infila nei bordelli. Bordelli di cui James Joyce fu un abituale, per quanto tormentato, frequentatore: si veda l'incontro, appunto in un bordello, fra Leopold Bloom e Stephen Dedalus in Ulisse.

Ecco, la puttana confinata ed esposta nelle teche delle case di tolleranza, si trasforma in pezzo da museo, in reperto memoriale permeato soprattutto di nostalgia. Si vedano a proposito i contributi all'antologia alla puttanesca Quando l'Italia tollerava curata da Giancarlo Fusco nel 1965, sette anni dopo l'entrata in vigore della Legge Merlin che scacciava i «merli». E se in pieno Cinquecento il Dialogo della infinità d'amore della cortigiana Tullia d'Aragona è la prima denuncia di questo (allora parziale) confinamento, stilata da una del mestiere, il suo esatto opposto è il professorale interrogarsi sul mistero del possesso-che-spossessa l'uomo nel rapporto con la prostituta vergato nel 1909 da Georg Simmel in Psychologie der Koketterie. Una lettura, quest'ultima, degna di essere psicanalizzata.

Magari tornando alla domanda da cui siamo partiti: che cosa facciamo (che cosa fanno gli altri) quando andiamo (quando vanno) a puttane? Lacan, citato da de Sutter, ci dice qualcosa in proposito, ma non crediamo di aver capito bene. A volte succede, con Lacan.

Quel che è certo è che la psicanalisi, se non conosci la verità dettata dalle puttane, professioniste o dilettanti che siano, in ultima analisi ti sputtana.

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