Cultura e Spettacoli

Quanta (facile) retorica nella fiction-manifesto sulla nascita dell'Europa

Il film tv Un mondo nuovo racconta l'epopea di Altiero Spinelli e del Manifesto di Ventotene. Alla "prima" i ragazzi si annoiano

Quanta (facile) retorica nella fiction-manifesto sulla nascita dell'Europa

«Certo: questa non è la solita fiction. E meno male, che non lo è!». La puntuta reazione di Alberto Negrin alle chiassose intemperanze con cui quattrocento studenti hanno accolto, ieri a Roma, la proiezione del suo tv-movie Un mondo nuovo conferma. Sì: questa non è la solita fiction. E non tanto per gli sghignazzi e i derisori battimano degli studenti sbertuccianti; quanto per gli esiti di un'operazione che - come lo stesso regista ammette, sospirando - è apparsa fin da subito «una missione impossibile».

Come tradurre, infatti, nei banali e semplicistici modi della fiction la storia di un documento politico, storicamente rivoluzionario, sì, ma televisivamente arido? «Quando m'hanno proposto la storia di Altiero Spinelli, e degli altri confinati antifascisti che, con lui sull'omonima isoletta, scrissero il “Manifesto di Ventotene”, ovvero la prima intuizione programmatica dell'Unione Europea, ho subito pensato “Impossibile”. Io stesso, come molti altri italiani, di Spinelli non sapevo praticamente nulla». L'unico modo per rendere «televisiva» un'avventura soprattutto intellettuale? «Usare l'emozione - ribatte sicuro il regista - e l'avventura di Spinelli è stata anche profondamente emozionante». E allora come spiega che oggi, a seguire quella fiction, gli studenti se la ridono? «Non so quanti di loro ne abbiano davvero afferrato il messaggio. Ma conto che abbiano almeno recepito il sogno che l'ha generato».

Difficile dirlo. Di certo personaggi eroici che parlano come libri stampati, opposti a cattivi d'una cattiveria da manuale, il tutto su dialoghi che procedono a furia di «frasi storiche», fanno temere che più che una fiction su un manifesto, si sia fatta una fiction-manifesto. Ovvero un prodotto didascalico e retorico. «Oggi l'idea d'Europa non vive un momento facile - riconosce Virginio Dastoli, il più stretto collaboratore di Spinelli, presidente dell'omonima Fondazione - Soprattutto fra i giovani. Alle ultime elezioni europee il 70% di loro non ha votato. Ma quella che viviamo non è ancora l'Europa sognata a Ventotene. È ancora solo un suo auspicio». E la realizzazione d'un sogno può richiedere molte generazioni, molti fallimenti; ne è convinto (citando Spinelli) il produttore Max Gusberti: «Un'idea si dimostra valida proprio perché resiste a tutte le crisi. E può addirittura rinascere dalle proprie ceneri».

Nel frattempo, però, la delusione cresce. Non solo fra i giovani. E si diffonde. «È vero: l'Unione Europea non ha dato risposte adeguate a problemi enormi, come l'immigrazione o il cambiamento climatico. Ma attenti - avverte Dastoli - questo accade perché ancora si ragiona col cervello degli Stati, o dei partiti, e non con quello dell'intera comunità. Quando tornano a casa con brutte notizie, molti capi di governo si giustificano “Ce l'ha chiesto l'Europa”. Ma l'Europa non sono forse loro? Quelle decisioni non sono forse state prese anche da loro?».

E anzi dell'importanza di girare un prodotto così rischioso, si dichiara convinto il protagonista, Vinicio Marchioni. «Necessario proprio per coloro che non conoscono questa storia. Perché come al solito, noi italiani precediamo tutti, e poi ci dimentichiamo di averlo fatto. Diamo il meglio di noi soprattutto fuori dall'Italia, e in Italia nessuno se ne ricorda. Me ne sono convinto una volta di più quando ho visto che il principale palazzo dell'Europarlamento è stato chiamato proprio col nome di Spinelli». Quanto all'assenza di Barbara Spinelli, alla presentazione di Un mondo nuovo (in onda in un'unica puntata domenica 23 novembre in prima serata su RaiUno) proprio in quel palazzo che porta il nome di suo padre, «Nessun intento polemico da parte sua - chiarisce il direttore di Raifiction, Tinni Andreatta - La signora Spinelli non ha voluto collaborare alla fiction, ma ci ha lasciati liberi di agire come volevamo.

E a Bruxelles non c'era solo per un problema di date».

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