Cultura e Spettacoli

Questa è una Mostra "no global" e l'Occidente va in dissolvenza

Nelle opere in concorso a Venezia la globalizzazione è ancora di là da venire

Questa è una Mostra "no global" e l'Occidente va in dissolvenza

Ci sono un fabbro malinconico della provincia americana, il solito strepitoso Al Pacino, e un altro fabbro iraniano che, in uno dei rarissimi e perciò meritevoli film sul genocidio armeno, inizia il periplo del globo alla ricerca delle figlie disperse. C'è un postino russo che distribuisce lettere attraversando il lago su una zattera. C'è un cupo pastore dell'Aspromonte in lotta con i clan mafiosi. C'è un optometrista indonesiano che vende occhiali porta a porta. C'è un manutentore svizzero che ripara i lampioni per conto del comune... Attori in crisi a parte, un intero album qui al Lido, il campionario delle professioni è composto da figure dimesse, ordinarie e solitarie. Anche di internet, tolto il film d'apertura di Iñárritu, finora non c'è traccia. In un'edizione della Mostra finora in grandissima parte al maschile, gli uomini fanno mestieri vecchi, marginali o in via d'estinzione, spesso all'interno di storie con pochi o pochissimi personaggi (in molti casi per ragioni di budget). Non che si vorrebbero tutti avvocati, docenti universitari, sarti o architetti di grido.

Semplicemente, ci limitiamo a registrare la sensazione che nelle opere in concorso la globalizzazione è ancora di là da venire. Se invece la si intravede, come nel film di Ramin Bahrani sulla bolla immobiliare che ha colpito i quartieri residenziali di Orlando, in Florida, ha il volto respingente di Michael Shannon, spietato esecutore di sfratti senza appello, attraverso i quali si arricchisce a dismisura... Soffia un'aria no global, qui a Venezia, epicentro del cinema mondiale ma soprattutto calamita delle produzioni minori. L'aveva detto il direttore artistico Alberto Barbera, alla vigilia dell'inaugurazione: «Il centro si restringe e i margini si espandono. Fino a qualche tempo fa il mercato era forte e assorbiva film diversi tra loro, pop, cinefili, d'autore. Ora si ridimensiona, mentre si allargano i margini, cioè tutto quello che resta fuori dal mercato, la ricerca, la sperimentazione, le produzioni dei Paesi minori. I festival servono a far conoscere le cinematografie laterali». Perciò, vai con le pellicole iraniane, israeliane, arabe, cinesi, giapponesi. Ed ecco spiegato perché ci si trova così spesso in sperduti villaggi della Russia, in desolati sobborghi turchi, in piccoli paesi algerini, in tristi contrade indonesiane. E perché l'Occidente finisce in dissolvenza..

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