Cultura e Spettacoli

"Recito, scrivo, insegno ma resto un dilettante"

James Franco passa dal set all'università. Nel 2013 ha già sfornato dieci film e un romanzo: "L'importante è non fermarsi mai e divertirsi"

"Recito, scrivo, insegno ma resto un dilettante"

Dice James Franco del suo personaggio in Spring Breakers, uno dei tanti - una dozzina - dei suoi recenti film: «È un ruolo da sogno perché è un personaggio che recita un personaggio. È la creazione di se stesso». Frase emblematica della maniera in cui la pensa Franco e illuminante della sua personalità e figura pubblica ed artistica. Attore capace (ultima prova convincente 127 Hous, e prima Milk nel ruolo dell'amante di Sean Penn), bravino nei kolossal fumetto (Harry Osborne in Spiderman), macchietta (This is the end), imitatore (Hugh Hefner in Lovelace), discreto nei thriller (The Iceman) o nel dramma letterario (il nuovo As I Lay Dying, tratto dal romanzo di Faulkner, da lui diretto). Regista, produttore, scrittore (è appena uscito il suo terzo romanzo, Actor Anonymous), studioso e perfino professore (serie di seminari alla Columbia University e altre università).

Parlargli è un'esperienza: ogni frase è precisamente scolpita, parla lento ma sovente ad alto volume, declama, sussurra, poi ride, si stende quasi sulla poltrona, chiude gli occhi, poi riparte. È decisamente un personaggio. Un dandy iperattivo con la testa tra le nuvole e un'oratoria da intellettuale.

James, lei ha realizzato anche vari documentari, tra cui Kink, sul feticismo sessuale; sta producendo un film su Gucci, e insegna anche. Come fa a fare tutto?
«Ci metta pure la tournée promozionale del libro. Il segreto è avere un gruppo di supporto che ti organizza bene le giornate. Una saggia gestione del tempo. Sembro uno pigro, che dorme molto: è il contrario».

C'è chi dice che fa troppe cose, che si disperde...
«E che sono un dilettante in tutto. Benissimo. L'importante è fare. L'unicità della mia posizione è che ho un piede nel mondo del cinema e un altro nell'accademia. Riesco a far combaciare queste due entità, spesso con risultati che sorprendono anche me stesso. Sto conducendo un seminario sul Mago di Oz, una sorta di decostruzione del testo: se non mi chiamassi James Franco mi lascerebbero salire in cattedra? Lo dubito, ma questo è il bello di essere me. E mi impegno il triplo, mica me ne approfitto».

Perché Kink?
«Spring Breakers mi ha avvicinato alla sottocultura del sesso in America e al suo significato in quanto mezzo di comunicazione. Per decenni al cinema si è usata la violenza come strumento narrativo, e solo ora iniziamo ad usare il sesso per il medesimo scopo. A tutti piace parlare di sesso, o leggerlo, ma quando lo metti sullo schermo assume diverse forme, si trasforma. Ti senti imbarazzato. L'ho notato nel pubblico alle proiezione di Kink: tutto uno scomodo contorcersi sulla poltrona. E mi chiedo: ma dove stanno tutti i lettori di 50 sfumature di grigio? Nelle sue pagine c'è di tutto. Va bene leggere ma non mostrare...»

Lei ha iniziato a 19 anni col film Freaks and Geaks, subito cult, poi ha interpretato James Dean nel biopic del 2001. Quindi la fama mondiale con gli Spider-Man. Criteri di scelta?
«Quando ero giovane - ora ho 35 anni e mi sento già piuttosto navigato - non avevo idea di come gestire la mia carriera di artista. Subivo l'influenza del carrierismo a tutti i costi. Pensavo che avrei dovuto fare certi film. Invece adesso per me è d'assoluta importanza fare ciò in cui credo profondamente in quanto artista. E mi considero un artista, lo dico senza pretese».

Sta organizzando un film su Gucci, perché?
«Da ragazzino, quando ero al liceo, mi divertivo a rubare acque di colonia nelle profumerie, che rivendevo poi ai compagni. Ho trovato ironico che anni dopo Gucci stesso mi ha scelto come testimonial per la sua linea di profumi e cologne. Mi sembrava doveroso soffermarmi su questo curioso intreccio».

Da chi ha ricevuto i più preziosi consigli come attore e artista in genere?
«Forse da Sean Penn quando giravamo

Milk. Sean è uno s'impegna allo spasimo. Mi ha insegnato a disfarmi una volta per tutte di ogni inibizione, esser capace di rendermi ridicolo. Accettare la dimensione ridicola che è in tutti noi è oltremodo liberatorio».

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