Cultura e Spettacoli

"La ricerca scelga i più bravi. E faccia parlare soltanto loro"

Trent'anni al Cnr e idee chiare sull'utilizzo delle eccellenze: "Elenchi per distinguere i capaci da chi parla a vanvera"

"La ricerca scelga i più bravi. E faccia parlare soltanto loro"

Un Paese meritocratico, il cui futuro sia segnato dall'eccellenza dei suoi ricercatori e uomini di scienza e di cui le nuove generazioni pensino che è il posto migliore al mondo dove vivere e fare carriera. Per molti un treno che in Italia abbiamo perduto, per troppi un sogno, per pochissimi una possibilità concreta. A questi pochissimi appartiene Roberto Defez, trent'anni da ricercatore nel Cnr e una vocazione insopprimibile a riordinare il caos attraverso una serie di articoli, un libro, Il caso OGM (Carocci) e ora un altro: Scoperta. L'Italia rinasce dalla ricerca scientifica? (Codice edizioni, pagg. 200, euro 17). In Scoperta, Defez non riaccende il bollitore d'acqua calda dei luoghi comuni, ma prova a concentrare in una serie di passi proattivi una delle modalità di recupero dell'efficienza del sistema Paese.

Partiamo dalle note dolenti: quanto costa il suo piano?

«La prima cosa da chiarire è che io non mi accodo a chi chiede più finanziamenti per la ricerca. Investire in ricerca è fondamentale, ma in questo momento si può migliorare la situazione anche senza aumentare la spesa».

E come?

«Grazie a una regola internazionale: si danno i soldi a chi li merita. Abbiamo perso capacità di investimento e quindi di rientro finanziario».

E anche di rientro dei cervelli in fuga?

«I cervelli che espelliamo ci sono costati 300mila euro l'uno per il ciclo completo di istruzione. Perdere quelli davvero bravi, capaci di drenare risorse, che depositano brevetti e raccolgono finanziamenti internazionali, significa perdere 21 miliardi di euro l'anno. I cervelli di oggi sono i nostri monumenti dell'età classica o del Rinascimento».

Altri numeri del disastro?

«In questo momento all'estero ci sono tanti italiani quanti immigrati in Italia: 5 milioni. I cervelli stanno fuggendo, soprattutto dalle regioni più ricche del Paese, Veneto e Lombardia, a un ritmo di 30/50mila ogni anno. Ai concorsi in Fisica in Francia ci sono più scienziati italiani a vincere i posti permanenti che francesi. La perdita è economica, oltre che culturale: perdersi i laureati in Fisica non vuol dire soltanto perdersi il premio Nobel, ma anche lo sviluppo di internet o la gestione dei big data. La ricerca italiana, economicamente, è fallita».

Colpa della politica?

«Colpa della comunità scientifica. Che deve reagire invece di accettare compromessi al ribasso. E creare delle liste».

Per formare un partito di ricercatori?

«Per coordinarsi e governarsi. Per comunicare con le istituzioni. Per creare una sua leadership e recuperare credibilità».

Le liste a che cosa servirebbero?

«Oggi la politica non è in grado di usare gli scienziati come consulenti. La magistratura non sa come e dove andare a pescare gli esperti. I media non sanno chi sia più affidabile per verificare dati ed evidenze. La colpa è degli scienziati, che non redigono elenchi validati di nomi, disciplina per disciplina. Così alla fine parlano i singoli in maniera episodica e non coordinata: dilettanti allo sbaraglio o vecchissimi pensionati non più in attività da quindici anni».

La Montalcini è rimasta lucidissima fino a cento anni...

«Il problema non è l'età: è capire chi può parlare e chi no e di che cosa grazie a un sistema interno che dia valore a quella posizione. Altrimenti la comunità scientifica viene calpestata e ridicolizzata, a volte per anni».

Come è possibile che questo accada, al di là delle liste che lei propone?

«Impieghiamo mesi o settimane a reagire: le società scientifiche, le accademie - dei Lincei, delle Scienze - sono apparati farraginosi, lenti, compassati rispetto ai tempi che richiede la vita sociale».

Tre step per mettere in pratica la sua idea?

«La prima azione è stabilire un coordinamento tra ricercatori di altissimo livello scientifico, cioè con pubblicazioni internazionali, come Nature o Science. Il secondo è stare pronti a intervenire quotidianamente nel dibattito sulle tematiche emergenti e comunicare direttamente con il pubblico, quindi con i media, con documenti, studi, analisi. Una produzione sistematica di testi che entrino nelle questioni più scottanti».

E infine?

«Una volta che il network creato ha messo i piedi nel dibattito pubblico, deve decidere quali armi utilizzare per imporre la sua cultura. Andare allo scontro, smettere di essere semplicemente un peso morto a carico della collettività. Ad esempio, non è normale che in Italia ci siano tutte queste sedi universitarie. Bisogna poterle valutare, essere onesti e dire agli studenti che se vogliono fare una tesi competitiva ci sono cinque sedi possibili in Italia, non cento. Quindi ci vogliono borse di studio e college: bisogna strappare dal ventre delle famiglie con una piccola autonomia economica dei diciottenni che si concentrino sugli studi».

Temi su cui far parlare le «liste»?

«I governi tecnici, gli OGM, le missioni spaziali, i cambiamenti climatici, tipi di energia: quali puliti e quali dannosi, il particolato nell'aria, le auto elettriche, la clonazione, la possibilità di prevedere i terremoti».

Anche questioni «umanistiche»?

«Il restauro di un monumento è ormai operazione sincrona fra archeologi, storici e microbiologi o chimici. E la digitalizzazione del Talmud è una questione di informatica, di filologia o di reazione nucleare?».

Anche la lotta alle fake news?

«Come primo obiettivo. L'accusa usate i vaccini, siete tutti lobbisti è facile, ma è poi vera? Con una comunità strutturata gli interessi si stemperano. Il singolo scienziato si può comprare, una comunità trasparente no».

Parliamo di un settimo potere, forte, che si affianca agli altri?

«Non sarebbe un potere sindacale e non sarebbe la scienza a decidere le strategie. La politica potrebbe comunque ignorare l'opinione scientifica. Ci sarebbero benefici per i cittadini, che hanno sviluppato un fortissimo senso di diffidenza verso lo Stato e hanno bisogno di un luogo terzo che fornisca informazioni neutre.

E benefici per gli scienziati, che se fossero veri attori del dibattito la smetterebbero di andare con il cappello in mano a chiedere l'elemosina al ministero: 30 milioni di finanziamento alla ricerca di base sia dura - chimica, fisica, biologia - che umanistica, contro i 500 milioni dati in Francia».

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