Cultura e Spettacoli

Scorsese e DiCaprio: "Non fidiamoci più della finanza sporca"

Regista e attore presentano "The Wolf of Wall Street", il film su uno dei broker che ha distrutto i mercati

Scorsese e DiCaprio: "Non fidiamoci più della finanza sporca"

da Los Angeles

Titoli spazzatura e frode finanziaria, specialità di Wall Street: è ormai sorto un sottogenere a Hollywood di film sul tema. In The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese (oggi a New York c'è la première, in sala andrà il giorno di Natale e il 23 gennaio arriverà in Italia), Leonardo DiCaprio interpreta il re dei broker dei primi anni '90 Jordan Belfort, soprannominato appunto “il lupo di Wall Street”, che giovanissimo, tra i 28 e i 34 anni, divenne miliardario combinandone di tutti i colori col mercato azionario, per poi finire in galera (22 mesi) e gradualmente riabilitarsi. Il bello del film è che tutta storia vera, verissima: il copione è tratto dalla schietta e scandalosa autobiografia scritta di proprio pugno (e bene) dallo stesso Belfort, pubblicata in Usa nel 2007. Un'autocritica mordente e spietata, e uno sguardo ravvicinato sugli eccessi di Wall Street dei primi '90, tra feste, donne, Lamborghini, yacht, bugie e cocaina. Smania di potere e manie varie.

DiCaprio, 39 anni, e Scorsese, 71, giungono al loro quinto film insieme; una collaborazione fortunata iniziata nel 2002 con Gangs of New York, proseguita con The Aviator, The Departed e Shutter Island. Tra di loro è evidente l'affetto e la mutua ammirazione: anni fa era palpabile il rapporto filiale, padre e figlio, oggi risalta di più il consorzio creativo alla pari. I due hanno presentato insieme al Director's Guild di Los Angeles The Wolf of Wall Street, intrattenendosi col pubblico a fine proiezione. Il film è candidato come miglior film ai Golden Globe, DiCaprio come miglior attore. È dunque in pole position per gli Oscar. Del resto uno Scorsese/DiCaprio è sempre un evento.

Mister DiCaprio, Mister Scorsese: nel film gli attori, tra cui Jonah Hill e Matthew McConaughey, sniffate quintali di droga. Come avete fatto?

DiCaprio: «È vitamina in polvere, ma dà comunque fastidio alle narici. Uno sforzo quindi c'è stato da parte nostra, come attori. Alla fine di alcuni giorni di ripresa avevamo davvero il naso tappato. Ma almeno mi sono preso un sacco di vitamina. La voce però finiva per essere un po' nasale, come se avessi realmente avuto problemi di cocaina, come il vero Belfort e tutti i suoi colleghi».

Scorsese: «Il realismo del film ne ha guadagnato. Ammetto che per me è stato un po' imbarazzante girare certe scene. Un film senza precedenti nella mia storia registica, cosa che alla mia età direi che va anche bene. Provare nuove cose a 70 anni suonati è un successo di per sé».

Anche per quanto riguarda il sesso?

Scorsese: «Certo. Voi lo sapete, non è che sia un esperto al riguardo. Mi intriga molto il tema della violenza e dei soprusi tra gli esseri umani, ma non sono mai stato bravo nella messa scena dell'amplesso. Sarà per via della mia educazione strettamente cattolica. C'è ancora un po' un goffo boy-scout dentro di me. The Wolf of Wall Street è il mio primo film in cui si vedono donne nude e qualche scena spinta. Era d'altronde inevitabile girare queste scene. La storia di Belfort è tutto un abbandono edonistico. Devo dire che Leonardo e la sua esperienza nel campo mi ha aiutato molto nella rappresentazione! (scoppiano a ridere)».

DiCaprio: «Non esageriamo, Maestro! Non nego di essere un animale sociale, ho molti amici e mi diverto ancora a uscire la sera. Non nego di avere un debole per le belle donne. Ma tra me e Belfort ce ne passa. Io non ho fatto mai un centesimo di quello che Belfort e soci facevano quotidianamente. Non starei qui a parlarne adesso. Tra l'altro vorrei chiarire un punto: da ragazzino qualche volta mi sono fatto, ma saranno almeno dieci anni che conduco una vita molto sana e regolare. La droga più bella per me è il lavoro e girare film così, lavorare con geni come Scorsese e duettare con talenti come McConaughey, raccontare storie interessanti che dicano qualcosa sulla nostra società e la condizione umana».

Ecco, che cosa intende insegnare esattamente questo film?

Scorsese: «È una parabola sull'avidità e i crimini finanziari che hanno rischiato di mandare in malora il nostro paese, e altri. Una storia che getta luce sulla crisi del 2007 e che ha molti paralleli col clima economico attuale».

DiCaprio: «Alta finanza, manovre bancarie e sfrenato narcisismo vanno sempre insieme. C'è poco da fidarsi».

Un'altra storia narrata in prima persona, come Goodfallas o Casino: Scorsese, è questo il suo marchio di fabbrica?

Scorsese: «Il materiale si addiceva. In più è un'autobiografia. La voce e il mea culpa di Belfort è dappertutto. L'ho incontrato: oggi vive a Los Angeles e lavora come consulente “motivazionale”. Un tipo ancora pieno di entusiasmo, che parla a duecento all'ora. Virtù - o vizio - senza cui non sarebbe diventato il lupo di Wall Street. È molto cortese e affabile, oggi. Ci ha aiutato moltissimo nella messa a punto del copione, scritto da Terence Winter».

DiCaprio: «Belfort non ha perso quella disinvoltura naturale che lo aveva contraddistinto da giovane. Non si è fatto intimidire da noi, e ci ha sottoposto anzi a delle sedute terapeutiche niente male».

Leonardo, ricorda la prima collaborazione con Scorsese?

DiCaprio: «Ricordo soprattutto la prima volta che lo vidi. Avevo 18 anni, fresco di What's Eating Gilbert Grape?, c'era una festa a New York per la prima del film. Martin era lì. Mi imbattei per caso su di lui nel casino generale: io ero un po' sbronzo. Rimasi paralizzato. Ma ti ricordi, Marty, tu mi hai sorriso e mi hai detto: “Ehi, giovane, ho visto il tuo film. Sei molto bravo. Continua così." Io non riuscii a proferire parola. Ma la sua frase m'è rimasta dentro. È stata per me la cosa più convincente a far sempre meglio, e seriamente. Dieci anni dopo mi ha scritturato per Gangs. Il resto è... bè guardateci qui.

Da lui ho imparato tutto».

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