Cultura e Spettacoli

Scruton, confessioni di un filosofo «eretico»

Tre nuovi libri illustrano il pensiero e la biografia del conservatore britannico

Aridea Fezzi Price

da Londra

S critti nel suo mondo ideale che si compiace di chiamare «Scrutopia», tutti i libri di Roger Scruton, filosofo conservatore e prolifico scrittore controcorrente, sono immancabilmente occasione di polemica e di riflessione. Se il bersaglio di fondo resta il conformismo di sinistra, in ogni scritto non tralascia mai di ribadire l'invito a recuperare il bello e il sacro in un mondo in cui il senso dell'estetica si è perduto.

L'ultimo volume è un intenso e illuminante saggio di quattrocento pagine su Richard Wagner e la tanto maltrattata Tetralogia, The Ring of Truth- The Wisdom of Wagner's Ring of the Nibelung (Londra Allen Lane, pagg. 401, sterline 25). Scruton si schiera a difesa delle vere intenzioni artistiche del compositore, contestando le moderne tendenze interpretative, che «molto raramente consentono al pubblico un'esperienza autentica e profonda del capolavoro di Wagner». Entrando nel pieno della diatriba che fin dal tardo Ottocento circonda il compositore e la sua opera, il filosofo combatte la tendenza alla caricatura dell'artista e alla satirizzazione dei suoi testi come avvenne nell'allestimento di Patrice Chéreau diretto da Boulez a Bayreuth nel 1976. Da allora, scrive, l'Anello è considerato un'opportunità per smontare non solo Wagner ma l'intera concezione della condizione umana che risplende nella sua opera. «Perché obiettivo della Tetralogia è una visione dell'ideale, conquistato senza l'aiuto degli dei, una visione in cui l'arte prende il posto della religione nella nostra più profonda aspirazione spirituale», spiega Scruton.

Corredato di ampie illustrazioni musicali e di uno studio minuzioso del ruolo determinante del Leitmotiv nella struttura del dramma musicale, il libro è un'analisi affascinante dei contesti religioso, musicale e filosofico di un'opera che iniziata nel 1848 il maestro impiegò ventisei anni a completare, e che Thomas Carlyle definì la «nostra Iliade del Nord», anche se Theodor Adorno vi vide le radici di un inaccettabile nazionalismo tedesco e Hitler un modello e una giustificazione. Scruton non si sofferma troppo, anche se li sottolinea come «deplorevoli difetti», sugli aspetti meno edificanti di Wagner, l'antisemitismo dichiarato, le vaste ambizioni e il carattere titanico da sempre un ostacolo alla vera comprensione del suo lavoro, preferendo discutere l'influenza di Beethoven, Fichte e di Hegel, la «dialettica fra spirito e materia, potere e libertà» nella battaglia che si svolge nell'Anello. Non religioso, Wagner aveva tuttavia una visione profondamente religiosa della condizione dell'uomo, e nel suo Anello della verità Scruton argomenta in modo convincente come nell'opera matura «dopo la caduta degli dei fosse intento di Wagner ritagliare uno spazio per il sacro nel regno dell'arte». Un libro colto e prezioso.

Che Scruton non si stanchi mai di auspicare un visione colta del mondo, in cui tradizione e modernità non siano in conflitto, emerge anche dalla sua raccolta di saggi anch'essa fresca di stampa il cui titolo Confessions of a Heretic (Londra, Notting Hill Editions, pagg. 195, sterline 14,99) offre il destro all'ironia dei critici inchinati all'ortodossia delle mode. Eleganti e avvincenti, costruiti sul filo di divagazioni filosofiche che offrono una summa del suo pensiero e delle sue proposizioni, i saggi sono un ampio commento sul vivere contemporaneo dalla politica al sociale, sull'incompatibilità dell'Islam con il tradizionale stato nazione e il dovere dell'Occidente di sostenere e difenedre i propri valori a fronte dell'avanzare dell'Islam radicale, sulle responsabilità in campo ambientalistico della sinistra «in genere ostile alle soluzioni estetiche» (qui invoca Edmund Burke, Oakeshott, Mises e Hayek). Sferrando un confronto fra l'idea tradizionale di amicizia e l'effimero assoluto di facebook invita a riflettere sui danni dei social media, e della televisione.

Particolarmente sentito da Scruton è il declino di originalità nell'arte, che ritiene sia oggi sostituta dal «falso con l'avallo dei critici che posano a giudici della vera avanguardia», quando in realtà l'arte oggi è «velleitaria e governata dal cinismo del mercato e da una distorta capacità di giudizio (anche da parte del mecenatismo ufficiale e delle istituzioni)». L'arte deve essere «bellezza, forma e redenzione», ripete Scruton, ma nell'arte la bellezza è una conquista, così come una fuga di Bach non è un semplice esercizio matematico ma ogni tema è impregnato di emozioni. Tutto il resto è un inganno. Verso la fine del libro riflette sul componimento di Richard Strauss, Metamorphosen. Non un de profundis per la Germania distrutta, osserva, bensì un'opera che aspira al lutto assoluto, perché «non tutto è perduto se resta l'arte con il bello a ricordarci che tutto è perduto».

In libreria in questi giorni c'è anche il suo memoir Conversations with Roger Scruton a cura di Mark Dooley già suo biografo, edito da Bloomsbury. Pagine che raccontano l'infanzia e gli studi a Cambridge, e ripercorrono il suo iter di filosofo, scrittore e compositore, senza trascurare i momenti salienti del suo attivismo a favore dei dissidenti nell'Europa dell'Est, del suo arresto ed espulsione dalla Cecoslovacchia comunista. Scruton descrive il suo dissenso nell'ambiente accademico che abbandona per una vita in campagna in una fattoria del Wiltshire.

Dove non smette di coltivare le sue passioni, la filosofia, la musica, Kant e Wagner, la caccia alla volpe e il suo conservatorismo spesso frainteso.

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