Cultura e Spettacoli

Se non sono autori di sinistra Lagioia non li vuole invitare

Secondo il direttore, "otto scrittori su dieci sono progressisti". Inutile cercare troppe voci contro

Se non sono autori di sinistra Lagioia non li vuole invitare

Il Po scorre lento e trascina via tutto: fallimenti, debiti, aste, licenziamenti, lotte interne, guerre dei Saloni, fughe (come quella sospetta di Massimo Bray) e ritorni (come quello vergognoso di Ricardo Franco Levi e dell'Aie)... Il Po scorre a un metro e mezzo da qui, accanto allo spazio «Student Zone», ai Murazzi, che ieri ha ospitato la conferenza stampa di presentazione del Salone del Libro di Torino, edizione (complicata all'inizio, ora liberatoria) numero XXXII. In realtà i giornalisti sono il 5-6% - e le domande alla fine non ci sono -, gli altri sono politici, associazioni, fondazioni bancarie, bibliotecari, librai... gli amici del Salone e della Torino che conta, che canta vittoria, e che parla.

Il primo a parlare è il proprietario del Salone - «Ma tutti sono i padroni del Salone...» -, cioè Silvio Viale, presidente dell'Associazione «La Città del libro» che lo scorso 24 dicembre - come in un film di Frank Capra, ricorda qualcuno - si aggiudicò l'asta per l'acquisizione del marchio con un'offerta (unica pervenuta) di 600mila euro, finanziata dalla Fondazione CRT e dalla Compagnia di San Paolo (le banche sono i bancomat necessari per far funzionare ogni vero grande progetto culturale, e forse è anche per questo che il Salone del libro di Milano è miseramente fallito). Viale guarda naturalmente avanti e sogna un Salone che sia come il Festival di Sanremo. Ha ragione: il Salone è il Salone, qualsiasi cosa succeda. «Mille grazie a tutti». I giorni che mancano all'apertura dei cancelli al Lingotto, il 9 maggio, sono molto meno: 63. Aspettando il Salone. Giulio Biino è il secondo a salire sul palco: è il presidente della Fondazione «Circolo dei Lettori», l'ente organizzatore del Salone. Biino parte alto con le citazioni - ma tutto il salone e l'intera letteratura sono fatti di citazioni. Prima Martin Luther King, e poi Mister Wolfe di Pulp Fiction: «Mi hanno chiamato per risolvere problemi». E per farlo ha dovuto riannodare i fili fra tutte le persone che sono qui, in prima fila: dal sindaco Appendino al governatore Chiamparino, dall'assessore regionale Antonella Parigi, ai rappresentanti di Adei, Aib, Aie, Ali... fino alla direttrice del Circolo dei Lettori, Maurizia Rebola, che dice «Basta!» alla querelle Milano-Torino e annuncia due appuntamenti targati Salone del Libro al prossimo Bookcity.

Archiviate le grane, resta Lagioia. Nicola, il direttore editoriale del Salone che ridiventa «internazionale» del Libro di Torino: fa scorrere un video che riassume - attraverso i titoli dei giornali sul web - un anno di guai, dubbi e paure, e poi festeggia. «Ce l'abbiamo fatta». Ed ecco - il paragone è suo - l'unica manifestazione che in un momento di guerra tra popolo ed élite porta migliaia di persone comuni ad ascoltare in silenzio filosofi, premi Nobel, economisti laureati... L'anti-sovranismo passa dalle code in sala Gialla.

Se i problemi sono stati grandi, il progetto del Salone del libro 2019 lo è ancora di più. Ambizioso e ecumenico. Il tema scelto è «Il gioco del mondo» - la cultura, infatti, non deve avere frontiere: porti aperti, come le menti, e giù tutti i muri: il Salone celebrerà i 30 anni della caduta di quello di Berlino (eppure, ammette Lagioia, «non è che dopo sia arrivata la pace che ci aspettavamo...») - e il titolo è quello di un romanzo di Julio Cortázar, scrittore simbolo dell'incontro fra culture. E infatti: la lingua ospite (non c'è più il Paese ospite, concetto troppo nazionalista, meglio la «lingua», più transnazionale) è lo spagnolo. Arriveranno autori e autrici dal Centro e Sud America, Cuba, Spagna... La città ospite è Sharja, negli Emirati Arabi, capitale mondiale del libro Unesco 2019. Mentre la regione ospite sono le Marche, per i 200 anni dell'Infinito di Leopardi e non solo («È anche la regione di Silvia Ballestra», aggiunge Lagioia...). A proposito di anniversari: a Torino si festeggeranno anche: i 100 anni dalla nascita di Primo Levi (qui girano già le cartoline-santino), i 30 dalla morte di Sciascia, i cento anche di Salinger (arriverà il figlio, Matt). Ecco, gli ospiti. La lectio inaugurale sarà affidata a Fernando Savater, poi è annunciato Wole Soyinka. E come terza star: Masha Gessen, giornalista e attivista russo. Cioè: l'essenza intellettuale dell'europeismo, il simbolo del terzomondismo letterario e un alfiere dell'anti-Putinismo e anti-Trumpismo. Bingo.

Mi scusi, Lagioia, chiediamo a margine, ma in qualche piega del programma di provata fede progressista, c'è qualcosa che potrebbe disturbare l'affezionata professoressa democratica? «(sorpresa) Beh, certo. Se gli editori ce lo propongono sì. Giordano Bruno Guerri che parla di Fiume e dell'anarchismo di destra ci sarà». Però Guerri è al di sopra delle parti... «(perplessità) Avremmo voluto avere Vargas Llosa, ma non era disponibile. Steve Bannon? Magari venisse... Ancora meglio: Errol Morris, che ha girato un bel documentario su lui...». E gli editori e scrittori che il suo consulente Christian Raimo ha etichettato come «fascisti», ma ai quali riconosce che studiano e producono libri, riviste, idee? «(imbarazzo) Certo, basta che non sia CasaPound e possiamo invitare chiunque... E poi comunque il Salone è rappresentativo di ciò che succede nella società italiana. E se prendiamo dieci scrittori, otto sono progressisti, due conservatori...». (sorpresa, mia, ndr): davanti alle statistiche, ci arrendiamo. A proposito: i numeri dicono che ieri la conferenza era affollatissima, che il Salone durerà dal 9 al 13 maggio.

E che se anche nel Paese si legge pochissimo, il Lingotto sarà strapieno.

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