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"Oggi non rifarei Colpo grosso... sarebbe soppiantato dal #metoo"

La carriera, il tifo per il Milan, l'amore per la Sardegna e per la sua Verona. Umberto Smaila si racconta a 360 gradi, senza filtri...

Umberto Smaila: "Con i dogmi di oggi i miei programmi non ci sarebbero più"

“Scrivilo, scrivilo che amo la Sardegna”. Umberto Smaila, che in questo periodo sta intervallando le vacanze con i suoi spettacoli in Costa Smeralda, mi prende subito in simpatia non appena riconosce il mio inconfondibile accento sardo. Iniziamo così subito un "lungo viaggio" in cui Smaila ripercorre tutta la sua carriera artistica dagli esordi con i Gatti dei vicoli Miracoli sino ai giorni nostri.

Quando ha deciso di entrare nel mondo dello spettacolo?

“Fin dall'età di 8 anni ho seguito dei corsi di recitazione e di pianoforte. Ero molto bravo, ero considerato un possibile bambino prodigio, ma poi mi sono guastato perché, poi, è arrivata l'epoca del beat. Io suonavo nei vari complessini a Verona e dalla musica classica mi sono spostato verso il pop e il rock. Ho sempre proseguito anche quando facevo la scuola, durante le medie e i primi anni d'università. Ero iscritto in Legge all'università di Bologna e avevo dato anche 13 esami, ma poi ho smesso quando ho iniziato a lavorare al Derby Club di Milano, il cabaret più importante del Nord Italia”.

La gavetta è stata molto dura?

“Sì, è stata dura e lunga. Noi abbiamo fatto dal '71 al '76 cinque anni di lavoro preparatorio e, a un certo punto, sembrava che potessimo tornarcene a casa a Verona. Poi, invece, accaddero delle cose sorprendenti, fummo chiamati dalla Rai a fare un programma in bianco e nero. Nel '77 ci fu un programma storico della televisione italiana, Non Stop, dove c'erano Verdone, i Giancattivi con Benvenuti, la Smorfia con Troisi e noi, i Gatti dei vicoli Miracoli. Questo determinò la nostra consacrazione nel mondo dello spettacolo a livello nazionale. Ormai il nostro futuro era deciso”.

Ma come sono nati i Gatti dei vicoli Miracoli?

“Siamo nati tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70. Decidemmo di chiamarsi così perché dovevamo fare un programma televisivo a Roma che, poi, in realtà, non si fece. Dato che avevamo scritto una canzoni che si chiamava 'vicolo miracoli' che è un vicolo esistente nel centro di Verona e visto che i gatti ci sembravano degli animali abbastanza autonomi e graffianti, ecco come nasce il nome i Gatti di vicolo Miracoli”.

Cosa rappresenta per lei Verona?

“Verona rappresenta i primi 20 anni della mia vita dove ho frequentato una scuola importante come il liceo classico Maffei. Il mio è un amore incondizionato per una delle città più belle d'Italia. Il 20 luglio scorso siamo stati all'Arena di Verona per celebrare i 70 anni di Jerry Calà e, in quell'occasione, abbiamo rispolverato le nostre vecchie canzoni. Io ho scritto la canzone Verona beat che era la canzone del nostro primo film Arrivano i gatti con la regia di Carlo Vanzina ed è diventata l'inno sia della squadra di calcio sia della città dove vive ancora mia mamma 95enne”.

Perché, secondo lei, Colpo grosso ebbe tanto successo?

“Perché è stato un programma assolutamente di rottura. All'epoca non c'era nulla che gli assomigliasse e il fatto che aveva dei contenuti anche abbastanza forti e questo attirava il pubblico. Ma, una volta attirato il pubblico, si scopriva che il programma era appetibile un po' per tutti tant'è vero che ricevevamo un sacco di letterine di ragazzine che mandavano dei disegni alle ragazze cin-cin. Il programma è diventato nazional-popolare e da allora è stato replicato ininterrottamente ed è andato in onda per 30 anni in varie reti nazionali. Ultimamente se l'è ripreso Mediaset e, in occasione del lockdown, ha trasmesso per due volte tutta la serie delle puntate di notte”.

Sarebbe riproponibile oggi un programma del genere o verrebbe soppiantato dal politicamente corretto?

“Adesso non lo rifarei perché non avrebbe più senso. Oggi sicuramente più che dal politicamente corretto sarebbe soppiantato dal #metoo, cioè sarebbe considerato un modo per trasformare la donna in oggetto. È un problema che non mi pongo, appartiene al passato e rimarrà un programma che ha cambiato la televisione e ha fatto tanta compagnia a milioni di italiani. Oggi, poi, le carte in tavola sono cambiate e quel programma farebbe sorridere per la pochezza della sensualità che lo caratterizzava, però è stata un mezzo per ricordare in eterno che io mi chiamo Umberto Smaila. Con Colpo Grosso mi sono garantito l'immarcescibilità”.

Perché, a un certo punto della sua carriera, ha abbandonato il mondo della televisione per dedicarsi all'intrattenimento i locali 'Smaila's'?

"Non c'erano più spazi per il mio modo di esprimermi. La televisione italiana ha trasformato il varietà in talk-show o gara tra cantanti e il mio ruolo sarebbe potuto essere al massimo quello di giudice di talent. Ma, a dir la verità, non sono mai stato convocato per cui ho fatto un musical su Fred Buscaglione e, poi, ormai da 25 anni mi sono messo a fare gli spettacoli d'intrattenimento".

Quando e come si è innamorato della Sardegna?

"Io sono venuto in Sardegna nel 1974 perché avevo delle storie. Andavo al Sud, a Porto Pino e Porto Pineddu, nella zona di Teulada. Ho visto quelle spiagge e quelle dune di cui mi sono innamorato e, poi, da lì, ho cominciato a spostarmi al Nord, in Costa Smeralda. Ho deciso di fare un locale a Liscia di Vacca in una struttura che si chiamava il Bagaglino. Dopo due anni sono stato praticamente ingaggiato dai proprietari di Poltu Quatu dove sono rimasto per 18 estati consecutivi. È stato un momento epico e credo di aver contribuito a far conoscere le bellezze della Sardegna e soprattutto dell'arcipelago della Maddalena dove mi spingevo tutti i giorni col gommone".

Cosa pensa del Green-pass? Sarà un handicap per il mondo dello spettacolo oppure un aiuto?

"Quello che abbiamo vissuto rispetto al Green-pass è il baratro. Noi siamo stati 12 mesi senza fare neanche uno spettacolo e, quindi, ben vengano tutti i Green pass di questo mondo se ci consentono di fare il nostro lavoro. Penso che sia stata un'iniziativa giusta perché può spingere la gente a vaccinarsi, cosa che io cerco di fare tutti i giorni con i miei video su Facebook. Tutto ciò che contribuisce a farci lavorare, ben venga perché siamo stati tanto tempo abbandonati e perché il nostro lavoro è determinato dal poter muoversi e andare nei locali pubblici. Non siamo stipendiati né dai giornale né dalle televisioni, né dallo Stato né dal Parlamento e, quindi, abbiamo bisogno di lavorare".

Come nasce la sua passione per il Milan?

"Da bambino, intorno agli 8-9 anni, come tutti. All'epoca il Verona Hellas era in serie B e, quindi, ogni ragazzino sceglieva la sua squadra del cuore. In quel momento si sceglieva tra Juventus, Inter e Milan e qui c'era un grande giocatore che sia io sia mio padre amavamo, ossia Gianni Rivera, uno straordinario campione. Diventando fan di Rivera, divenni anche tifoso del Milan. Alla fine degli anni '70, ho avuto modo di conoscerlo e vederlo allo stadio fare quei suoi numeri funambolici. Poi, con l'avvento di Berlusconi con cui avevo iniziato a fare i primi programmi televisivi su Canale5, il tifo è cresciuto dopo che Silvio ci ha fatto vincere coppe e campionati. È stato il coronamento di un tifo nato da ragazzo e tutt'ora sono seguace del Milan".

Lei si è trovato meglio a lavorare in Rai o in Mediaset?

"In Rai ho fatto delle cose talmente importanti, soprattutto Non-stop, che non potrei mai sbugiardare questo fatto. Poi, lavorando tantissimo in Mediaset facendo quasi duemila trasmissioni, ovviamente mi sono legato molto a Canale5. Esemplificando posso dire che la Rai era molto più governativa e burocratica, mentre in Mediaset si era più liberi di dire quel che si voleva".

Qual è la sua più grande paura?

"Mah, questa è una bella domanda che non mi ha mai fatto nessuno. Non ci avevo mai pensato. Forse è il fatto stesso d'aver paura. Pensando a una frase che aveva detto Woitjla “Non abbiate paura di avere paura”, posso dire che quello sia un esempio da seguire".

Qual è, invece, il suo più grande rimpianto?

"Potrei dire vincere l'Oscar visto che ho scritto le colonne sonore di molti film di successo. In questo momento sto facendo la colonna sonora dell'ultimo film di Enrico Vanzina, Le tre sorelle. Il cinema e la musica da film sono un po' la mia seconda vita e, quindi, il rimpianto potrebbe essere quello di non aver vinto qualche premio importante. Ho vinto un Ciak d'oro, ma c'è sempre lì all'orizzonte un David di Donatello oppure, sognando proprio, un Oscar...

La speranza è l'ultima a morire".

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