Cultura e Spettacoli

La Spagna di Franco rivive nel "Labirinto" di Carlos Ruiz Zafón

La Spagna di Franco rivive nel "Labirinto" di Carlos Ruiz Zafón

Sono passati 15 anni dalla pubblicazione del bestseller che gli è valso dieci milioni di copie vendute, L'ombra del vento. Ma Carlos Ruiz Zafón, l'autore spagnolo più letto al mondo dopo Cervantes, è come nuovo. Come se avesse appena iniziato a scrivere la tetralogia Il Cimitero dei Libri Dimenticati - che è scaturita da quel primo volume. Tetralogia che invece si conclude - per sempre - con Il labirinto degli spiriti, da poco arrivato in libreria (Mondadori, pagg. 820, euro 23). Riposato, certo di arrivare ai primi posti delle classifiche mondiali come sempre, pronto alla pausa sabbatica che si prende al termine di ogni volume e con l'immancabile spilla con drago sul bavero della giacca, ci spiega: «Siete al sicuro, è finita. Il mondo è completo, le quattro porte di ingresso al labirinto sono state create, tutto combacia con tutto, la storia è quella che volevo». La storia è complessa, ma tutto si tiene grazie a Barcellona, che fa da sfondo, al Regime franchista tra memoria e complotto e ai vari Caronte che portano il lettore: ne L'ombra del vento c'è Julian Carax, ne Il gioco dell'angelo David Martín, ne Il prigioniero del cielo c'è ancora Martín ma è come se scrivesse Fermín, il mendicante introdotto ne L'ombra del vento. Nel Labirinto compare una donna, Alicia Gris, che porta Daniel a scoprire il segreto della sua famiglia, il mistero della morte di sua madre. Alicia ha 27 anni, è una creatura notturna di intelligenza e diffidenza straordinarie, con quella capacità di camuffamento che appartiene di solito a chi si nasconde per osservare gli altri, come un investigatore. O come uno scrittore: «Alicia sono io. È parte della mia anima. Me la sono risparmiata per metterla in questo ultimo libro» rivela Zafon. «Tutti gli scrittori scrivono di sé: è per questo che i commenti negativi li feriscono tanto. Non possono che farne una questione personale, è carne viva».

Il volume è monumentale, l'intera saga supera le 3mila pagine, ma la sensazione è che ci vogliano tutte e anzi che questo sia l'ultimo ma anche il migliore tra le quattro prove: «I libri corposi spaventano editori e lettori, ma il successo non è basato né sulla lunghezza né sulla brevità, ma sulla storia», precisa Zafon, che è nato a Barcellona nel 1964, ma vive a Los Angeles dal 1993. «Lo scrittore è uno storyteller: deve aprirti la mente e spingerti a farti delle domande, deve divertire impegnare, sedurre attraverso il piacere. Questo costa un sacco di sforzi e molto impegno da parte di chi legge: non sono un politico o un predicatore, non sono io che devo pensare, ma il lettore. Voglio che si attivi e si chieda: Perché?».

È per questo che ha ambientato le storie nel periodo franchista? «Per uno spagnolo, la guerra civile è l'evento più importante. Era il mondo dei miei genitori, dei miei nonni, uno dei quali è finito in campo di concentramento: io bambino ne ho vissuto gli ultimi fuochi, loro, però, non ne parlavano mai. E questo mi ha intrigato da sempre.

Scrivere è anche cercare l'origine, la casa, la culla».

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