Cultura e Spettacoli

La storia dell'«Angelo» tra lacune e riflessioni

di Luis Ortega con Lorenzo Ferro, Chino Darín, Daniel Fanego, Mercedes Moran

Ai più, probabilmente, il nome di Carlos Robledo Puch, soprannominato l'Angelo della Morte, dice poco o nulla. Eppure, stiamo parlando del più famoso serial killer argentino, uno che «vanta» un curriculum criminale di tutto rispetto composto da 11 omicidi accertati, un tentato omicidio, 17 rapine, uno stupro, un tentato stupro, due sottrazioni di minorenni e due furti. Il tutto, in appena un anno di attività visto che l'Angelo Nero (altro soprannome dovuto alla sua faccia angelica), nato nel 52, ha compiuto il grosso delle sue malefatte tra il marzo del 1971 e il 4 febbraio del 1972, giorno del suo arresto. Condannato all'ergastolo, ad appena 20 anni, è attualmente ancora in carcere; il che fa di lui il prigioniero più longevo dell'Argentina. Strano che a una simile figura il cinema abbia fatto orecchie da mercante fino a questo L'Angelo del Crimine, diretto, tra alti e bassi, da Luis Ortega. La pellicola ripercorre queste tappe criminali, partendo dai primi furti, nelle case dei ricchi, commessi da questo giovane, dai riccioli biondi e faccia da bravo ragazzo. A scuola, incontra, anzi si scontra, con Ramón, suo coetaneo verso il quale rimane attratto (anche sessualmente). Inizia così a delinquere insieme anche al padre dell'amico, segnalandosi subito per il suo primo omicidio, commesso rimanendo impassibile. Ramón (Chino Darín) muore e Carlos (Lorenzo Ferro, carismatico) trova un altro complice per proseguire i suoi crimini. Tra una uccisione e l'altra, torna a casa dai genitori, come se nulla fosse, a mangiare una «milanese», suo piatto preferito. Il film, si chiude sul suo arresto che non è uno svelare la trama visto che la storia è vera. Il limite di questo biopic è che prende troppo le parti del giovane, rasentando il grottesco, in barba ai delitti dei quali si era macchiato. Ad esempio, il rapimento, lo stupro e l'omicidio di due donne vengono completamente «dimenticati». Si pensa più a far luce su cosa possa essere passato, nella mente di un ragazzo così viso d'angelo, per trasformarlo in un killer senza emozioni.

In alcuni momenti, il messaggio arriva e visivamente, nel suo complesso, la regia di Ortega fa un ottimo lavoro.

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