Cultura e Spettacoli

Tutti contro Garrone per nascondere il flop

Il regista-giurato non avrebbe difeso i nostri film. Ma non era suo compito. E Bellocchio reagisce alla bocciatura: "Io provinciale? Non accetto lezioni"

Matteo Garrone
Matteo Garrone

da Venezia

«Sono amareggiato da questa vicenda ma non voglio esserne il capro espiatorio». Non ci sta Matteo Garrone, regista di Gomorra, a finire sul banco degli imputati dopo il verdetto sfavorevole per l'Italia della 69esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica conclusasi l'altro ieri. Le cronache hanno raccontato com'è andata, sul podio film coreani, americani, austriaci, israeliani, francesi e per quelli italiani solo le molliche, come le chiamavano l'altro giorno i vertici dell'industria del cinema italiano, pubblica e privata, a mani vuote e con valigie al seguito in partenza anticipata dal Lido. Un premio alla fotografia di Daniele Ciprì per il suo È stato il figlio e a Fabrizio Falco come «attor giovane» sia per quella pellicola che per le poche pose in Bella addormentata di Marco Bellocchio. Ed è proprio la mancanza di riconoscimenti a questo film, diversamente dalle forti aspettative, che ha aperto il vaso di Pandora delle polemiche in cui è finito Matteo Garrone, il membro italiano della giuria. Che prova ora a difendersi dopo la scena muta della nervosa conferenza stampa dell'altra sera quando stava per rispondere a una domanda sulla mancanza di premi per i film italiani ma è stato prima zittito dal presidente della giuria Michael Mann che non voleva si parlasse dei singoli titoli e poi difeso dalla collega giurata, l'attrice Samantha Morton, che ha accusato la giornalista di essere, addirittura, «una persona scorretta» solo per aver posto quella domanda. «Sono amico di Bellocchio e ammiro il suo cinema - dice con fervore Garrone - ma due premi, sugli otto a disposizione della giuria, gli italiani li hanno ottenuti». Certo non la pensa così Paolo Del Brocco amministratore delegato di Rai Cinema che con Cattleya ha prodotto Bella addormentata e che peraltro il 27 settembre porta in sala il nuovo film di Matteo Garrone, Reality: «Siamo molto dispiaciuti che un'opera importante e coraggiosa come quella di Bellocchio non sia rientrata tra i film premiati». E Riccardo Tozzi produttore del film oltre che presidente dell'Anica, la «confindustria» del cinema, pensando ai recenti successi a Berlino e a Cannes rincara ironico: «Vorrà dire che ormai punteremo solo sui festival internazionali».

Prende così una piega tutta provinciale una polemica che invece dei contenuti si concentra sulle nazionalità. Come se ci fosse scritto da qualche parte che in un festival prestigioso e internazionale come quello di Venezia sia obbligatorio premiare un film italiano. Si può certo capire (ma non giustificare) tutta l'amarezza, ad esempio di Rai Cinema che quest'anno, anche grazie a una Medusa defilata, spadroneggiava al Lido con una ventina di film presentati e nessun premio ufficiale vinto, briciole a parte. «Su queste cose - s'infervora Garrone - siamo un paese provinciale. E se gli italiani non vincono, si attacca il giurato italiano. È stata un'esperienza durissima e non accetterò mai più di fare parte di una giuria, soprattutto qui in Italia».

Peccato che l'amarezza sia ormai il sentimento comune di tutti i protagonisti di una vicenda che si potrebbe invece risolvere con il buon senso del direttore della Mostra Alberto Barbera molto contento di come sia andato il suo festival: «Le scelte della giuria si accettano e non si discutono. Il resto sono solo illazioni ed esercizio accademico». E invece ha già ha preso piede la solita dietrologia rilanciata da Repubblica con un anonimo giurato ad accusare i nostri film «di essere autoreferenziali perché li capite solo voi. Il cinema deve parlare al mondo, deve proporre temi universali». Apriti cielo! «Ora io di questa imbecillità ne ho piene le scatole», scrive Bellocchio senza i pugni in tasca in una nota stranamente un po' sopra le righe. «L'eutanasia, la tragedia o il dramma del fine vita sono forse un tema provinciale? Accetto la decisione della giuria che ha giudicato secondo la sua idea di bellezza: i film premiati erano i più belli. Basta. Ma non ci vengano a dare lezioni su cosa gli italiani dovrebbe raccontare al cinema». Perfetto.

Ma rimane la sensazione che gli stranieri abbiano faticato a entrare in una storia il cui contesto scatenante e centrale - i giorni della morte di Eluana Englaro - è giustamente solo accennato perché da noi italiani ben conosciuto. Ma per gli stranieri? Forse le poche cuffie per la traduzione in inglese - una decina al massimo - dell'affollatissima conferenza stampa veneziana di Bella addormentata spiegano più cose di quanto sembra.

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